Anche il sale da cucina è contaminato dalle microplastiche. Molto pesantemente nei paesi del Sudest asiatico, dove si registra il maggior inquinamento del mare da plastica usa e getta. Ma pure in Italia e nel Nordeuropa, anche se in misura minore. Lo rivela una recente ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology e nata dalla collaborazione tra Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud.
Ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati (il 92%), provenienti da diverse nazioni inclusa l’Italia, contenevano frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, meglio noti come microplastiche. Dall’indagine, che ha preso in esame campioni di sale marino, di miniera e di lago, risulta che 36 campioni erano contaminati da microplastica costituita da Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET), ovvero le tipologie di plastica più comunemente utilizzate per produrre imballaggi usa e getta.
Di tutti i campioni analizzati, quelli provenienti dall’Asia hanno registrato i livelli medi di contaminazione più elevati, con picchi fino a 13 mila microplastiche in un campione proveniente dall’Indonesia. Questo paese, secondo studi recenti, è seconda per l’apporto globale di plastica nei mari.
I tre campioni di sale provenienti dall’Italia, due di tipo marino e uno di miniera, sono risultati contaminati dalle microplastiche con un numero di particelle compreso tra 4 e 30 unità per chilogrammo.
Considerando l’assunzione media giornaliera di 10 grammi, un adulto potrebbe ingerire, solo attraverso il consumo di sale da cucina, circa 2 mila pezzi di microplastiche all’anno, considerando la concentrazione media di microplastiche in tutti i sali analizzati. Se si considera invece il dato italiano peggiore, un adulto potrebbe arrivare a mangiarsi fino a 110 pezzi all’anno.
I materiali che chiamiamo “plastica” sono stati sviluppati negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso e la produzione di massa ha avuto inizio negli anni Cinquanta. Da allora, la diffusione e l’uso delle diverse materie plastiche sono in continuo aumento e le proiezioni suggeriscono che tale tendenza continuerà. Nel 2015 la produzione mondiale di materiali di plastica è stata pari a 269 milioni di tonnellate, con la Cina come primo produttore al mondo (27,8 per cento), seguita dall’Europa (18,5 per cento) e dai Paesi del Nord America (NAFTA) (8,5 per cento). Nello stesso anno, in Europa la domanda ha raggiunto i 49 milioni di tonnellate, la maggior parte delle quali (39,9 per cento) per la produzione di imballaggi (Plastics Europe, 2016). Questo materiale leggero, resistente, conveniente e versatile ha degli svantaggi che non erano stati previsti. Ad esempio, molti oggetti di plastica sono monouso e ciò comporta la produzione di una montagna di rifiuti. La plastica scartata può finire nelle discariche, può essere incenerita o riciclata, ma una parte finisce nei corsi d’acqua e in mare attraverso la rete fognaria, gli scarichi, durante il trasporto verso le discariche, o tramite la fuoriuscita accidentale dalle navi e dagli impianti di trattamento delle acque reflue. O, semplicemente, la plastica viene intenzionalmente gettata in mare (Derraik, 2002). La conseguenza è che i rifiuti di plastica sono diffusi in tutti i mari del mondo, galleggiano in superficie, sono presenti nella colonna d’acqua e sono sepolti anche nei sedimenti marini (GESAMP, 2015). La presenza di rifiuti di plastica nei nostri oceani è dovuta non solo all’aumento dell’utilizzo dei materiali plastici, ma anche all’inadeguata gestione dei rifiuti.
A livello globale, i materiali di plastica rappresentano il 60-80 per cento di tutti i rifiuti marini (Derraik, 2002) e, come risulta da alcune indagini, è di plastica addirittura il 90 per cento dei rifiuti presenti in spiaggia (Pasternak et al., 2017). Non esiste un dato numerico definitivo sulla grande quantità di plastica presente negli oceani del mondo, ma un modello teorico quantitativo stima che ci siano 5.250 miliardi di pezzi di rifiuti di plastica del peso di 268.940 tonnellate che galleggiano in mare, escludendo quelli presenti sui fondali o sulle spiagge (Eriksen et al., 2014). Studi più recenti hanno stimato quantitativi più alti, arrivando a più di 50 mila miliardi di pezzi di plastica (van Sebille et al., 2015), anche se di fatto è impossibile verificare con esattezza qualsiasi stima. Uno dei motivi principali della diffusione dei rifiuti negli oceani è la cattiva gestione dei rifiuti di origine antropica, che vengono deliberatamente scaricati o smaltiti in modo irresponsabile: un problema esteso e globale. Jambeck et al. (2015) hanno stimato che, nel 2010, sono finite nell’oceano tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate di plastica provenienti da 192 Paesi costieri in tutto il mondo. Lo studio ipotizza che se le strategie di gestione dei rifiuti dovessero rimanere invariate, la quantità di plastica che entrerà negli oceani aumenterà di dieci volte entro il 2025. Negli ultimi due decenni, le ricerche, i rapporti ambientali e le campagne di monitoraggio hanno evidenziato l’impatto dei frammenti di plastica sugli animali marini. Gli esempi degli effetti delle macroplastiche – oggetti delle dimensioni superiori ai 25 millimetri di lunghezza o larghezza, chiaramente visibili a occhio nudo, come sacchetti di plastica, reti da pesca e bottiglie – sugli animali marini sono numerosi. Soffocamento, strozzamento, intrappolamento e
malnutrizione possono coinvolgere mammiferi, rettili e uccelli marini fino a organismi sessili come i coralli. Anche le microplastiche hanno un impatto negativo sulla vita marina. Queste particelle di plastica di diametro o lunghezza inferiore ai 5 millimetri, possono essere ingerite da un maggior numero di organismi rispetto alle macroplastiche. Le microplastiche possono anche assorbire e successivamente rilasciare contaminanti tossici ambientali, oppure rilasciare sostanze chimiche usate durante il processo produttivo. Le microplastiche possono essere sfere, frammenti o filamenti e sono sia primarie, ovvero prodotte in piccole dimensioni, sia secondarie ovvero derivanti dalla degradazione di oggetti di plastica più grandi, dovuta all’esposizione ad elementi quali vento, il moto ondoso e la luce ultravioletta. Quanta più plastica viene gettata via, quanti più rifiuti entrano nei sistemi idrici: poiché i pezzi grandi di plastica si degradano in pezzi ancora più piccoli, ogni pezzo di macroplastica che galleggia in mare può dare origine a centinaia, se non migliaia di pezzi di microplastica. Il Mar Mediterraneo è un bacino semi chiuso con una superficie di 2,6 milioni di chilometri quadrati, collegato all’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra. L’acqua nel bacino ha un tempo di permanenza di circa 100 anni (Ramirez-Llodra et al., 2013; Cózar et al., 2015; Tubau et al., 2015). Il Mar Mediterraneo è riconosciuto per la sua ricca biodiversità e ospita circa il 7,5 per cento delle specie marine conosciute (Ramirez-Llodra et al., 2013). Le zone costiere della regione sono densamente popolate (427 milioni di abitanti, circa il 7 per cento della popolazione mondiale) e durante i mesi estivi attirano un gran numero di turisti (il 25 per cento del turismo annuale internazionale). Il Mediterraneo ha un notevole traffico marittimo commerciale e ricreativo: il 30 per cento del traffico marittimo globale passa attraverso questo mare (UNEP / MAP, 2011; Eurostat, 2017). Tutti questi fattori hanno portato nel Mediterraneo l’accumulo di rifiuti di origine antropica come la plastica, il vetro, il legno e la gomma, e rifiuti si rinvengono nella colonna d’acqua, sulle spiagge e sui fondali marini. La topografia della regione e l’estensione delle attività antropiche contribuiscono a un notevole inquinamento da plastica e da altri tipi di rifiuti prodotti prodotti dall’uomo. Il flusso d’acqua tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico è limitato, determinando l’accumulo di rifiuti galleggianti nel bacino mediterraneo. Il presente rapporto presenta una selezione dei dati disponibili sulla presenza e gli impatti dei rifiuti di plastica presenti nel Mediterraneo, pubblicati negli ultimi dieci anni.