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Questo articolo in breve

Il monito è chiaro, vietato esaltarsi. Paulo Fonseca lo fissa dopo le tre vittorie consecutive della Roma che hanno messo le ali ai sogni giallorossi. «Lo so che quando si va bene si generano aspettative,ma sono contrario ad un clima di euforia–dice il portoghese –. Mi piace che la gente creda in noi, ma abbiamo vinto solo tre partite. Siamo all’inizio di una maratona lunga e difficile, l’euforia va bene in caso alla fine di un campionato o quando si vince una finale di coppa.

Prima bisogna essere realisti e io sono consapevole che la sfida con l’Atalanta sarà molto dura». Le insidie e i dubbi Già, non fosse altro perché la Roma sono 5 anni che non batte l’Atalanta in casa. E che di fronte ci sarà Gasperini, che la Roma aveva cercato prima di Fonseca. «Non lo conosco di persona, so che è un tecnico eccellente – continua il portoghese – Ma domani non sarà una partita tra di noi, ma tra la Roma e l’Atalanta». Partita complicata, Fonseca lo sa bene: «Gara difficile, contro un avversario forte, che lotta e aggredisce.

E che davanti ha giocatori importanti come Zapata, Ilicic e Gomez». In casa giallorossa ci sarà l’esordio dal via per Smalling,mentre Pellegrini deve convivere con un’infiammazione alla pianta del piede ma dovrebbe esserci. Ma la grande novità potrebbe essere la difesa a tre (3-4-2-1), con Juan Jesus al fianco di Smalling e Fazio e l’esclusione di Mkhitaryan, con Zaniolo e Pellegrini alle spalle di Dzeko e Kolarov e Spinazzola in fascia. «Mi sono italianizzato, è vero. Questo è un calcio che obbliga ad essere elastici e chi non lo capisce e lo affronta sempre allo stesso modo sbaglia. Ma i miei principi generali restano gli stessi: squadra propositiva, possesso palla, giocare nella metà campo avversaria». Infine non elude il tema rovente del razzismo: «Una piaga da estirpare, nella vita come nel calcio. Che deve unire e non dividere».

A pensare che se negli anni passati alcuni incastri di mercato si fossero concretizzati, magari oggi sarebbero uno fianco all’altro, come compagni di squadra in giallorosso. Perché che la Roma abbia cercato più volte Alejandro Gomez è cosa risaputa, esattamente come è risaputo come lui abbia scelto di legare il suo futuro all’Atalanta. Oggi all’Olimpico saranno uno di fronte all’altro, ma soprattutto saranno gli uomini a cui si aggrapperanno di più i rispettivi tecnici per portare a casa una vittoria che sarebbe importantissima: da una parte Edin Dzeko, dall’altra il Papu Gomez. Il gigante e il bambino, verrebbe da dire.

Ovviamente dove quel bambino riferito al Papu è legato alla sua stazza fisica messa a confronto con quella del colosso bosniaco. Sta di fatto che a guidare i due attacchi stasera saranno proprio loro due. Con caratteristiche e dinamiche ovviamente molto diverse tra di loro. Baricentro giallorosso Dzeko è a tutti gli effetti il punto di riferimento dell’attacco romanista, di qualsiasi trama offensiva che mette in piedi la squadra di Fonseca. Non solo perché è il centravanti in un 4- 2-3-1 che ha proprio nella punta il terminale ideale, ma perché gioca spesso anche da regista offensivo. Non è inusuale infatti vederlo abbassarsi, andare a creare gioco sulla trequarti, fare dei cambi di campo che sono più nel dna di un trequartista – appunto – che non di un centravanti. E non è neanche un caso che Fonseca a lui non rinunci mai. Tra campionato ed Europa League Edin ha saltato solo i 16 minuti finali con l’Istanbul Basaksehir. «Mi piacerebbe farlo riposare, proprio come Kolarov, ma in questo momento non posso – ha detto ieri il portoghese – Lui e Aleksandar per noi sono giocatori troppo importanti. Hanno risposto sempre bene, nonostante i tanti impegni ravvicinati, anche con le nazionali. Sono due grandi professionisti, due atleti che curano bene la loro condizione fisica e di questo ne beneficia tutta la squadra ». Edin, tra l’altro, ha già segnato 4 gol in cinque partite (e 91 in 184 gare complessive con la Roma), non riuscendo a timbrare il cartellino solo contro la Lazio (dove però ha provocato il rigore di Milinkovic).

Ci sono calcoli che per Gian Piero Gasperini lasciano abbastanza il tempo che trovano. Altri che non hanno senso, perché non ne ha guardare indietro dopo aver riflettuto abbastanza per non essere costretto a farlo. Altri invece che deve fare per necessità, o diciamo opportunità: che quando si giocano tre partite in sette giorni è più o meno la stessa cosa. Dunque i primi riguardano la classifica attuale («Non è significativa dopo quattro partite»), anche se parametrata a quella delle sue precedenti stagioni: prima della 5ª giornata l’Atalanta aveva 3 punti nel 2016-2017 e 4 nei due campionati successivi, dunque i 7 attuali sono la sua miglior partenza in nerazzurro.

La tonsillite di Muriel Non è questo che gli fa tenere lontani rimorsi o rimpianti per non aver accettato, la scorsa estate, la panchina della Roma: pentirsi non sarebbe da lui anche se le cose andassero peggio di come invece non vanno. I calcoli «obbligati» sono quelli sul tipo di avversaria da affrontare:«Tatticamente la Roma gioca in modo molto simile allo Shakhtar, dunque è una gara fondamentale anche in funzione Champions». E sul turnover, seppur condizionato da imprevisti tipo la tonsillite di Muriel: «Hai delle idee e poi succedono queste cose: spero di recuperarlo per sabato». Ovvero contro il Sassuolo, la partita in cui gli ulteriori cambi «dipenderanno da come andrà a Roma». All’Olimpico, intanto, al di là delle semi- certezze Castagne («Per noi è una garanzia ») e Malinovskyi («Avevamo intuito subito che ha personalità da leader e sicurezze tecniche, poi si è anche inserito velocemente»), potrebbe arrivare l’esordio di Kjaer, subito da ex: «È stato fermo molto anche se impegnato con la nazionale, ha fatto una preparazione un po’ a spizzichi e bocconi, ma fra Roma e Sassuolo deve cominciare a giocare».