Meghan e Harry, i duchi di Sussex sono accolti da un gruppo di donne festanti durante il tour in Sudafrica

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Sorridente, accessibile, moderatamente low cost: questa l’immagine sfoderata da Meghan durante il primo tour africano da duchessa di Sussex intrapreso con il marito Harry. Basta dunque con la parte della diva di Hollywood catapultata a corte, che la ex attrice ha interpretato per mesi. E viva la semplicità. La coppia, con il figlioletto Archie, è arrivata a Città del Capo il 23 settembre per quello che non è soltanto un tour di dieci giorni tra Sudafrica, Malawi e Angola.

Sì, certo, obiettivo è recare conforto a chi è straziato dalla miseria o dalla malattia, sostenere chi ha creato una rete umanitaria e, perché no, farsi contagiare dalla leggerezza che questi popoli conservano nonostante le avversità. Ma è anche la prova del nove per verificare quanto la prima duchessa di origini africane nella storia della monarchia britannica riesca davvero a scaldare i cuori degli ultimi del mondo. Ultimi che fanno parte del Commonwealth, l’avamposto più estremo di quel che resta del potere coloniale del sovrano d’Inghilterra. Non proprio un dettaglio. Lei s’è proposta come quella che ce l’ha fatta, questo il messaggio, e non solo perché ha sposato un principe bello, simpatico e casual, ma perchè è stata in grado di mantenere la propria personalità. Lo abbiamo capito sin dai primi passi della coppia sul suolo africano, compiuti a Nyanga, il distretto più pericoloso di Città del Capo: qui si contano 206 omicidi l’anno.

Harry e Meghan hanno fatto visita a un’associazione, Justice Desk, sostenuta dal Queen’s Commonwealth Trust – Harry ne è presidente – che offre sostegno alle donne e ai bambini vittime di violenza. La duchessa, rivolgendosi alle persone uscite dalle loro baracche per accoglierla, ha detto: «Sono qui con mio marito e come membro della famiglia reale. Ma voglio che sappiate che sono qui, con voi, soprattutto come madre, moglie, donna di colore. E come vostra sorella». E non c’è niente di più efficace dell’immedesimazione per scatenare l’ovazione. Che infatti si è manifestata a favor di camera: i duchi sono stati coinvolti in balli tribali e canzoni intonate sulle strade polverose della baraccopoli, tra bimbi che volevano abbracciare Meghan e donne che la invitavano a entrare nelle loro case, modeste e dignitose allo stesso tempo.

Tutte espressioni d’entusiasmo che testimoniano quanto la duchessa, quando si spoglia degli orpelli da star, incarni esattamente ciò che la corona si aspetta da lei: la modernizzazione del rango reale. Astuta è stata a indossare un abito a stampe animalier di Mayamiko, un brand etico e sostenibile nato in una cooperativa del Malawi, che costa una settantina di euro, e un paio di zeppe Castañer. Cambio d’abito in fretta e furia e via verso un nuovo bagno di folla. Stavolta al Discrict Six, dove un museo testimonia uno dei più drammatici casi di deportazione nella storia del Paese: 60 mila persone, durante il regime di apartheid, furono costrette ad abbandonare le proprie case. Occasione salutata con un vestitino blu di Veronica Beard da circa 600 euro, uno dei rari esempi di riciclo praticato da Meghan che già aveva usato l’abito durante il primo viaggio ufficiale in Oceania, lo scorso anno. Altro fermo immagine, altro giro di giostra.

Stavolta siamo al mare, sulla spiaggia di Monwabisi, dove un gruppo di ragazzi ha dato vita a Wind of Change, una comunità che attraverso lo sport interviene sui disagi psicologici dei giovani insegnando loro a praticare il surf. Collegato a questo progetto sorge il Commonwealth Litter Programme, che sensibilizza i ragazzi circa il recupero delle plastiche. L’agenda degli eventi ai quali i duchi devono presenziare è vorticosa. E ancora non è chiaro se il piccolo Archie, che si è appena intravvisto giusto in un paio di sequenze mentre scendeva dall’aereo tra le braccia della madre, avrà un ruolo. Chissà se prima del ritorno a Londra vorranno condividerlo con il pubblico, magari l’ultima sera in Sudafrica. Sarebbe il colpo di teatro finale, la ciliegina sulla torta che certifica il successo di un evento.