Arnold Schwarzenegger, il cinema mi ha insegnato a trasmettere messaggi, come bisogna fare in politica

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La camminata è un po’ meno sportiva di prima, ma a 72 anni Arnold è ancora imponente. Schwarzenegger sembra affabile e straordinariamente discreto, quasi timido. Parla di sé, della propria carriera, di questo nuovo Terminator che arriva al cinema, ma anche di Hollywood e di politica, con intelligenza, distacco e un pizzico di umorismo. Cominciamo… Domanda. Ritrova Terminator per la sesta volta. Risposta. «Sa, il primo Terminator ha rappresentato per me un cambiamento vero e proprio.

Venivo da due film su Conan il Barbaro e mi sono detto: “Bene, finalmente un ruolo diverso da quello di Mister Muscolo…”. Certo, continuavo a non interpretare una persona comune, ma almeno potevo mostrare qualcosa di diverso dai miei bicipiti. Per me è stato un punto di svolta: finalmente venivo considerato un attore. E il trionfo dei due primi Terminator ha fatto sì che Hollywood sia venuta a propormi progetti maggiori. Il regista James Cameron mi ha offerto la possibilità di simboleggiare il cinema d’azione negli Anni 80, la sua violenza, la sua follia. Molto prima di cominciare le riprese, sapeva di aver creato un cattivo come se ne sono visti pochi nel cinema americano».

D. In questo sesto episodio lei ritrova anche Linda Hamilton, sua partner nei primi due film. R. «Se Linda non avesse accettato non avremmo fatto il film. È un’attrice di razza e una donna che ha sempre difeso le proprie opinioni, non è certo di stampo hollywoodiano. La sua Sarah Connor è l’altra figura emblematica della saga, al di fuori di tutti i codici». D. Si tratta di personaggi che, nel bene e nel male, il pubblico ha considerato eroi fin da subito. R. «Perché i ruoli erano scritti bene. Cameron sapeva che gli spettatori avrebbero tenuto conto della situazione fra la natura distruttrice e l’aspetto di Terminator, che suscita simpatia. Era un eroe senza volerlo. E, chiaramente, è un personaggio essenziale nella mia vita. Non so più quante volte le persone mi hanno strizzato l’occhio perché dicessi il celebre “I’ll be back”, “Tornerò”». D. Questo personaggio l’ha aiutata nella campagna per diventare governatore della California? R. «Penso di sì. Sono certo che una piccola parte degli elettori abbia pensato di votare per Terminator. E, come lei ben sa, in politica ogni voto conta (ride)!

A volte, però, ho dovuto affrontare anche il rovescio della medaglia, con alcuni californiani che sono venuti da me dicendo: “Ma come, lei che è Terminator non è in grado di sradicare questo particolare problema?” Purtroppo no! Nemmeno lui avrebbe potuto fare più di tanto, per esempio, di fronte alle leggi federali. Ricordo di aver vissuto questa situazione quando hanno rifiutato alla California il diritto di irrigare le proprie terre con l’acqua di altri Stati. Alcuni, di sicuro, mi vedevano già distruggere dighe e riserve d’acqua per sistemare tutto. È un ulteriore esempio dei confini fra cinema e politica che, a volte, negli Stati Uniti sono molto sottili. Purtroppo la realtà non è quella del cinema: nell’esercizio della politica non c’è nulla di magico. Quando devi gestire i problemi sociali, la disoccupazione, il razzismo o le sfide ambientali, come ho dovuto fare nel corso del mio mandato, e con i primi incendi di boschi che hanno devastato la California, non è possibile risolvere tutto tirando fuori un’arma o cavarsela con una battuta». D. Al di là del divertimento, lei non crede che la saga di Terminator sia anche incentrata su temi quasi politici, come l’esclusione, la violenza o persino il posto delle donne nella società? Negli Anni 80 e 90 non si trattava di temi particolarmente affrontati dai film d’azione. R. «Credo che ognuno abbia potuto interpretare quei film come meglio credeva.

A dire il vero, comunque, non è stata quella la mia prima motivazione. Come non lo è stata per James Cameron, credo. Lo ripeto, noi volevamo soltanto girare film d’azione non troppo stupidi. Per contro, è chiaro che Terminator ha predetto molte cose. Molti fenomeni che, all’epoca, facevano parte della fantascienza, sono diventati realtà. Cameron aveva fatto molte ricerche, in particolare sui problemi del digitale, e non si era sbagliato». D. Al cinema, come in politica, bisogna essere dei visionari? R. «Sì, senza dubbio. Bisogna capire e soprattutto far capire. Il cinema mi ha insegnato a trasmettere un messaggio al grande pubblico. Poi si tratta comunque di due cose diverse. Un attore gioca sul registro delle emozioni, l’uomo politico si deve confrontare con la realtà, ma deve spiegare il mondo, e questa è sicuramente la cosa più difficile. Prendiamo, per esempio, i problemi dell’ambiente.

Fino a questo momento, credo che abbiamo mancato al nostro dovere di spiegare al mondo i pericoli del riscaldamento globale. Oggi, negli Stati Uniti, si incolpano gli altri oppure si fanno orecchie da mercante. Se gli americani sanno che l’inquinamento è sul punto di uccidere il pianeta, nessuno però spiega loro come mai dobbiamo cambiare immediatamente le nostre abitudini e il nostro stile di vita. Si constata, ma non si agisce. Se vogliamo uscirne, va fatto un enorme lavoro di educazione e di comunicazione. E questo vale per l’ecologia, ma anche per i problemi sociali, per quelli di salute o dell’istruzione. Se non riesci a trasmettere un messaggio, non sarai mai davvero un buon politico»