Elena Santarelli struggente: il racconto del tumore del figlio

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Cè una sola cosa che terrorizza una donna più di una diagnosi di tumore ed una mamma lo sa quella diagnosi possa riguardare suo figlio. Chi scrive ha affrontato un tumore al seno con l’annessa terribile triade – intervento, chemioterapia, radioterapia – e il dramma di dover comunicare il tutto ai figli.

Nonostante l’esperienza affrontata e superata, mi è difficile immaginare l’angoscia di vedere quella triade imposta a un bambino di otto anni com’è successo alla showgirl Elena Santarelli, che ora racconta quel dramma nel libro Una mamma lo sa (Piemme). Un volume che offre speranza, poiché il piccolo Giacomo è guarito, e che si propone come aiuto alle famiglie che affrontano situazioni simili: tutti i ricavi andranno all’associazione non profit Heal, che sostiene la neuroncologia pediatrica dell’ospedale Bambin Gesù di Roma. Una mamma lo sa è un racconto sincero delle infernali tappe che la Santarelli e suo marito Bernardo Corradi, ex calciatore e attuale allenatore della Nazionale Under 16, hanno dovuto affrontare, compresa una transitoria crisi di coppia.

La storia comincia con una ragazza che nella vita ha avuto tutto: bellezza, successo, amore, due figli meravigliosi, Giacomo, 10 anni, e Greta, 3. Il 29 novembre 2017 quella fortunata ragazza riceve un colpo al cuore che la lascia tramortita: “Giacomo ha un tumore al cervello’’. È questo il terribile esito di una risonanza magnetica fatta dopo alcuni mesi durante i quali il bambino si comportava in modo strano, “come se avesse cambiato un po’ carattere, era spesso stanco e irritabile”, scrive la showgirl. Per questo il libro s’intitola Una mamma lo sa, perché nonostante gli episodi di vomito del piccolo si potessero attribuire a un virus intestinale e i mal di testa alla sinusite, Elena ha presto il sospetto che si tratti di qualcosa di più grave.

Quando Giacomo viene ricoverato lei smette di essere la Santarelli in onda su Raiuno come opinionista di Italia sì e diventa solo mamma Elena, uguale a tutte le altre in corsia. “Ascoltavamo parole come chemio, intervento, tumore, come se non le avessimo mai sentite prima”. Poi arriva la mattina dell’operazione di Giacomo: “Dovevo essere io l’ultima persona che vedeva prima di addormentarsi… A un certo punto mi ha preso la mano, me l’ha stretta, sempre con il labbro che tremava e ho visto che cominciavano a scendergli lacrime silenziose, senza singhiozzi, come fosse stato un adulto. Giacomo si è limitato a tirarmi piano il braccio e mi ha detto: «Mamma ti posso fare una domanda? Io posso morire con questa operazione?». «No amore, questo è un intervento del cavolo, durerà un’oretta»”. La classica balla a fin di bene che in una situazione del genere richiede nervi saldi e coraggio da leoni: è proibito piangere davanti al piccolo.

Le quattordici ore dell’operazione sono intollerabili: “Avevo preso talmente tanti tranquillanti che sembravo fuori di testa, camminavo senza senso e non riuscivo a scambiare due parole neanche con le persone più care”. Poi la buona notizia: l’intervento è andato bene. Ma subito c’è lo choc di vedere il bambino fasciato e intubato, in terapia intensiva. “Quando si è svegliato era immobilizzato, riusciva solo a muovere le pupille ed era spaventatissimo”.

Ma i genitori non possono restare a lungo in reparto e lasciarlo è uno strazio. Quando finalmente Giacomo si riprende dall’intervento arriva la nuova botta: l’esame istologico indica che sono necessarie chemio e radioterapia. E un percorso durissimo: “La prima volta che Giacomo si è specchiato senza capelli si è trasformato in una belva, ha preso a calci e pugni me e suo padre. Intanto io pregavo, chiedendo a Dio di trasferire a me il suo tumore”. L’ha fatto fino alla guarigione: “Quando mi hanno comunicato che era guarito non ho riso né pianto, ero un’ebete. Ci ho messo tre giorni per riuscire a piangere di gioia. Ora vedo la mia vita come una missione per aiutare gli altri”.