Lo dicevano già gli antichi: quanto si gode quando il potente, o il famoso, cade in disgrazia. O, meglio, quanto godono le persone piccine, che trovano soddisfazione alla loro mediocrità solo sminuendo il valore altrui, di chi ha avuto successo, di chi “ce l’ha fatta”.
E quanto ha fatto ridere, o sorridere, la notizia, il 31 maggio scorso,
dell’arresto di Marco Carta, il vincitore di Amici 2008 e di Sanremo 2009, uno dei cantautori più amati dell’ultima generazione, accusato di aver trafugato dalla Rinascente sei magliette del valore di 200 euro ciascuna. Il ricco musicista che “arrotonda” rubacchiando magliette firmate, che potrebbe pagarsi con una piccola percentuale dei suoi diritti d’autore. La notizia perfetta, il “mostro” ideale da sbattere in prima pagina, nonostante, fin da allora, a un occhio attento la vicenda apparisse inverosimile.
E a poco è servito che, pochi giorni dopo, il giudice annullasse l’arresto, con una sentenza in cui ipotizzava che Carta fosse del tutto innocente: la “macchina del fango”, il meccanismo per cui una persona celebre che ha messo un piede in fallo viene messo alla graticola, era partito. Le ironie degli addetti ai lavori, i titoli di giornali formalmente corretti, ma nella sostanza spietati, il massacro sui “social”, ormai abituale anche per eventi molto meno gravi di un furto, figuriamoci per una storia simile.
Ebbene, come ormai saprete, non era vero niente: Carta è stato assolto “per non aver commesso il fatto”, non per un cavillo giuridico ma proprio perché è innocente. Le telecamere di sorveglianza hanno mostrato che a prendere le magliette è stata la donna che era con lui, a sua insaputa, come peraltro lui aveva sempre sostenuto. Il pubblico ministero che aveva chiesto una pena di otto mesi, farà ricorso in appello: del resto, si sa, in tribunale a Milano c’è ben poco da fare, quindi di tempo da buttare non ne manca: e che c’è di meglio che tentare di ottenere una condanna sia pure minima ai danni di un famoso? Ma difficilmente qualcosa cambierà: Carta è innocente. E può esultare: «È come se mi risvegliassi da un brutto sogno», ha scritto sui social. «Perché è questo che rimane, solo un brutto ricordo in via d’estinzione. Ringrazio tutte le persone che non hanno mai creduto a tutte le cattiverie dette gratuitamente». Segue una dedica al fidanzato Sirio, a cui è legato da quattro anni e con cui potrebbe sposarsi a breve.
E di cattiverie ne sono state dette proprio tante. Diamo ancora la parola a Carta, che spiega benissimo la baraonda mediatica di cui è stato vittima: «Ci sono state bestemmie, insulti, messaggi privati che mi hanno fatto male. Ho una bella corazza, ma anche delle fragilità. Ci sono i stati anche titoli pesanti da parte della stampa. È stato facile e divertente pensare che un personaggio famoso possa aver rubato delle magliette».
Cosa ci insegna questa vicenda? A noi cittadini, a noi giornalisti soprattutto, insegna che non bisogna mai puntare il dito, dare la colpevolezza per scontata, fare i “forcaioli”. Viene istintivo talvolta, di fronte a un Vip, o a un reato particolarmente odioso. Ma un’accusa non è mai una condanna, un arresto neppure, i poliziotti, perfino i giudici possono sbagliare, e chiunque è innocente fino a prova contraria. Vale per Marco Carta, vale per chiunque finisca negli ingranaggi della giustizia e della cronaca nera, anche i tanti “signori nessuno” che spesso sui giornali vengono additati come delinquenti, con titoli enormi, e magari qualche anno dopo, quando vengono assoluti, si guadagnano a fatica un trafiletto.
E poi, su queste vicende bisogna anche saperci ragionare sopra. Ma perché mai un cantante, di certo non povero né bisognoso, avrebbe dovuto rubare alla Rinascente? La storia, a pensarci un attimo, suonava falsa fin da subito. Tutto può essere nella vita, ma in questo caso il dubbio era più che legittimo, era ovvio.
Infine, una notazione maliziosa. Marco Carta è stato maltrattato oltremodo da stampa e social anche perché non è un vero “potente”. Si tratta di un cantante in un momento non eccellente della sua carriera, quindi più facilmente soggetto a una gogna mediatica che tanti suoi colleghi, molto più celebri e influenti, non avrebbero mai subito. Perché nell’ipocrisia di chi gode delle disgrazie dei fortunati, c’è anche quella di non osare prendersela con chi è davvero forte, ma con i più deboli tra i forti. Di certo altri cantanti più famosi di Carta avrebbero goduto di più comprensione, sarebbe stato concesso loro più facilmente il beneficio del dubbio. Forse non si sarebbe nemmeno osato arrestarli.
Questa storia dolorosa ormai è chiusa, ma non sarà inutile se ci avrà aiutato a capire che, prima di condannare una persona, famosa o meno, di irriderla, di giudicarla, bisogna capire, analizzare, ragionare. E attendere con pazienza che la verità emerga. La giustizia sommaria non è mai giusta, nemmeno se si parla del furto di sei magliette. Perché c’è sempre in gioco la dignità, l’onore e il destino di un essere umano.