Aveva solo 25 anni Luca Barbieri, il paracadutista professionista morto oggi sotto il viadotto Giuliano a Caltanissetta, dal quale si era appena lanciato in quello che probabilmente era solo un volo di allenamento, di routine, per lui che aveva all’attivo migliaia e migliaia di lanci con paracadute e tuta alare.
Perché è vero che Luca era ancora giovanissimo ma praticava paracadutismo da anni, era un istruttore professionista di lancio con tuta alare in diverse scuole italiane, un coach al quale si sono affidate tante persone nel corso della sua attività che l’ha portato a volare un po’ in tutte le parti del mondo.
Questione di adrenalina, dicono in tanti, ma anche di marketing, aggiungono altri, soprattutto in un’era sempre più social, dove milioni di click fanno la differenza. E anche Luca postava sui social i video delle sue imprese. Luca era anche un bravo videomaker, sul suo casco portava sempre la telecamera Go Pro e spesso diventata il regista dei vari lanci che effettuava con i colleghi.
Era sempre all’inseguimento di nuove emozioni, di nuove sfide. Negli ultimi tempi era diventato un vero esperto di “wingsuit” amava volare libero con la sua tuta ma anche lanciarsi dai viadotti con le sue piccole ali e un paracadute. Che purtroppo oggi pare non si sia aperto. Secondo gli addetti ai lavori, gli atleti che praticano sport estremi non sono in alcun modo irresponsabili o attratti da un desiderio di morte. Al contrario si tratta di soggetti con una forte formazione alle spalle e un grande conoscenza dei propri limiti e dell’ambiente circostante. Nessuno sprezzo del pericolo quindi, quanto invece un diverso e più vivido stato di coscienza, che a dire di tanti praticanti costituirebbe un forte potenziale per una trasformazione in positivo dell’individuo. Ma tutto questo, come si è visto, può costare caro. Spesso anche la vita.