Mirella Freni è morta. Era la sorella di latte di Luciano Pavarotti di cui poi fu amica e compagna di palcoscenico speciale. Nata a Modena il 27 febbraio 1935, è stata la più schietta interprete della grande scuola sopranile italiana post-Callas/Tebaldi. Bambina prodigio per le pioneristiche telecamere Rai, consigliata nello studio del canto da Beniamino Gigli, esordiente il 3 febbraio 1955 al Comunale della sua città (Micaela in Carmen di Bizet, uno dei suoi personaggi caratterizzanti) ha cantato per cinquant’anni esatti, salutando il palcoscenico dal Metropolitan di New York dove fu assidua e amatissima per decenni con uno straordinario Galà nel 2005.
Allieva di Luigi Bertazzoni e Ettore Campogalliani, maestri di vecchia, impeccabile, e intransigente, scuola vocalistica, orientata musicalmente da Leone Magiera (suo primo marito), come cantante e interprete non ha sbagliato nulla; “e se è successo, non ci ho pensato un attimo a tornare indietro”. Il secondo personaggio della vita, Mimì, lo fece per la prima volta al Regio di Torino nel 1958.
Seguirono gli esordi a Glyndebourne nei ruoli mozartiani di Susanna e Zerlina (Don Giovanni lo registrò nel 1966 con Otto Klemperer) e nel 1962, Nannetta in Falstaff, cantava per la prima volta alla Scala. Quando questo ‘suo’ teatro le dedicò una grande-serata omaggio nel 2015, l’applauso che l’accolse all’entrata in scena dimostrò ch’era ancora considerata di casa, e una regina. L’ammirazione si mescolava alla gratitudine per una carriera artistica di serietà e coerenza ferree.
“Lirico” per (auto)definizione – “un soprano col colore e la bellezza della voce, che deve cantare bene senza forzare; sono sempre stata onesta nei confronti della mia voce” – ha messo a disposizione tecnica e intelligenza a un repertorio vario.
E dopo una prima fase di esplorazione dei personaggi naturali, tra cui Faust, Mireille e Roméo et Juliette di Gound, ha azzardato confronti arditi (Elvira in Ernani, Violetta in Traviata ad esempio) salvo poi lasciarli decantare, abbandonarli del tutto s’era meglio oppure (è il caso di Tosca e Cio-Cio San) destinarli allo studio di registrazione. Imponendo la semplicità empatica e disarmante della non-diva e una professionalità senza compromessi: accorta ma perspicace nelle decisioni; intransigente anzitutto con se stessa.