Coronavirus, hanno ostacolato la quarantena e la malattia c’è arrivata in casa

Questo articolo in breve

Mezza Italia si era scandalizzata all’idea di far saltare qualche giorno di scuola ai bambini in arrivo dalla Cina per precauzione. Ora in quarantena ci sono finite 10 città della provincia
di Lodi. Lezioni sospese, messe vietate, imprese ferme, carnevale annullato. E soprattutto è arrivato il primo morto: Adriano Trevisan, un settatasettenne di Monselice.

Stop perfino ai mezzi pubblici le strade sono deserte, come a Wuhan. Sono circa 30mila i cittadini lombardi cui la Regione ha chiesto di non uscire dalla propria abitazione fino a nuove disposizioni. “Rimanete nelle vostre case”, un annuncio da tempi di guerra.

E solo ora il governo si è deciso a imporre in tutta Italia un breve periodo di isolamento anche per chi ha viaggiato in Oriente (ma soltanto per quanto riguarda le aree più a rischio) I CONTAGI
Ormai, tuttavia, il problema è contenere l’epidemia, che si è propagata rapidamente a partire dal Comune di Codogno. In Lombardia sono 15 i casi confermati, mentre in Veneto, oltre al 77enne deceduto in serata c’è un’altra persona risultata positiva ai test sulla quale sono in corso verifiche. Non sono cifre da sottovalutare: abbiamo scoperto nel giro di poche ore di essere la nazione europea più colpita dal morbo (noi 20, la Germania seconda con 16).

Le nostre autorità sostengono ancora di avere la situazione sotto completo controllo. Al momento, però, il ministero della Salute non è neppure in grado di dire con certezza in quale circostanza ha contratto il Co- vid19 il primo malato scoperto a sud di Milano, il quale si è dovuto presentare due volte in ospedale prima che mercoledì qualcuno prendesse sul serio la sua situazione e decidesse di ricoverarlo. Nei giorni precedenti l’uomo aveva condotto la vita di sempre, incontrando decine di persone tra corse podistiche e partite a calcetto e contagiandone molte. Ed è complicato capire con quanta gente siano venuti a contatto tutte queste persone.

Nell’area dove si è diffusa l’infezione sono state migliaia le chiamate al 112 da parte di cittadini terrorizzati. L’azienda dove lavorava il primo paziente scoperto (la gigantesca multinazionale Unilever, che produce di tutto, dal tè Litpon al Coccolino) ha arrestato la produzione in attesa di ulteriori sviluppi della crisi. Altre imprese, come Mediaset, hanno chiesto ai propri dipendenti di non presentarsi in ufficio se hanno frequentato la zona considerata a rischio nelle ultime settimane. Precauzioni normali, si direbbe, sebbene per qualcuno il problema fino a oggi sia stato quello di evitare di disturbare troppo chi si era recato in Asia.

Il ministro Roberto Speranza è arrivato in Lombardia ieri e ha tenuto una conferenza stampa con il governatore Attilio Fontana. E ovviamente ha spiegato di aver fatto il possibile per contenere il problema: «Le misure messe in campo sono al più alto livello europeo. Siamo stati gli unici a fermare i voli dalla Cina». Una decisione, quest’ultima, che purtroppo si è rivelata inutile. Il punto è che per venire in Italia da Pechino e dintorni molto spesso si fa scalo da qualche altra parte nel mondo. Fermare i voli diretti come ha fatto Palazzo Chigi non serviva quindi a niente. Si sarebbe dovuto più che altro provvedere a controlli serrati negli aeroporti e quarantene per i casi sospetti. Invece abbiamo perso tempo in sterili discussioni sul razzismo, mentre gli stessi abitanti rientrati dall’Oriente spesso si auto-imponevano periodi di clausura per evitare di danneggiare il prossimo.