L’App per verificare dove sono i contagiati più vicini. I controlli presso i supermercati e nei luoghi pubblici dove ti misurano la febbre e tengono traccia dei tuoi spostamenti. L’invito ad uscire di casa il meno possibile. La vita di Giulia Zappon, 35 anni di Vicenza, titolare insieme a un altro italiano di Changsha Eurasia China-Italy Trade Consulting, una società che si occupa di import-export di prodotti (soprattutto alimentari, italiani ma in realtà da tutto l’occidente) è cambiata da quando è iniziata l’emergenza del contagio del coronavirus. Eppure, non ha voluto fuggire, lasciare la Cina. #app in fondo all’articolo
Infati invia messaggi positivi: «Lo Stato è presente, sta reagendo, la popolazione è solidale». Anche la comunità italiana si sta dando da fare e le varie associazioni stanno raccogliendo mascherine da inviare in Cina. Giulia Zappon vive a Changsha, sei milioni di abitanti nella regione di Hunan, a sud di quella di Hubei. Non è nell’area del blocco, ma ha comunque delle limitazioni. Dista da Wuhan 340 chilometri: per le dimensioni dell’ex Impero di Mezzo, Changsha è tutto sommato vicino a Wuhan.
Come è arrivata in Cina?
«La prima volta sono venuta nel 2006. Tenga conto che ho studiato lingue orientali. Poi, insieme a un socio che è anche il mio compagno, ho dato vita a questa società che, tra le altre cose, importa anche prodotti alimentari occidentali da distribuire nei ristoranti in cui si fa cucina italiana. Ai quali diamo anche consulenze. Le cose stanno andando bene, ma è evidente che questa crisi avrà ricadute anche per noi imprenditori italiani che operiamo in Cina. E per le aziende che dall’Italia esportano in questo Paese».
Come è cambiata la vostra vita?
«In Italia dite che qui c’è una situazione drammatica, che c’è il caos, che non veniamo informati dalle autorità.
In realtà non è così. Le strade sono vuote, è vero, ma semplicemente perché per prudenza siamo stati tutti invitati a limitare il più possibile gli spostamenti. Se usciamo di casa, dobbiamo comunque indossare le mascherine e i guanti. Però ci sono informazioni chiare. E non hanno deciso di costruire un ospedale in dieci giorni perché non ce ne sono. In realtà gli ospedali funzionano, sono moderni, ma era necessario dare una risposta ancora più tempestiva. È una situazione molto difficile, è vero, ma ce la faremo».
Non sarebbe stato meglio tornarsene in Italia?
«La mia vita e la mia attività economica sono qui, come potevo andarmene? C’è grande solidarietà tra la popolazione, cerchiamo di aiutarci a vicenda anche se si resta chiusi in casa. E nei confronti di noi occidentali le persone del posto sono ancora più gentili, apprezzano il fatto che siamo rimasti a lottare insieme a loro».
I ristoranti e i supermercati sono chiusi e mancano provviste?
«No. I supermercati sono aperti, possiamo andare a fare la spesa. Ci sono delle precauzioni, certo, che possono sembrare severe, ma alla fine sono anche garanzia per la nostra salute. Quando entri nel supermercato, ma anche in uffici aperti al pubblico, ti misurano la febbre, ti chiedono i documenti e per quale motivo sei lì. Si tiene traccia degli spostamenti, perché potrebbero servire per limitare l’epidemia. Nei ristoranti non si va a cenare come prima, ma continuano a funzionare le app per la consegna a casa del cibo. Magari sono meno di prima coloro consegnano le pietanze, ma ci sono. E abbiamo anche una app che ti informa non solo sul numero dei contagiati, ma anche sulla loro localizzazione: sai dove sono, capisci quali sono le zone dove, ad esempio, c’è una situazione difficile in corso».
Però chi vuole rientrare in Italia ha problemi, non ci sono più voli diretti.
«Gli spostamenti interni possono essere più difficili, ma comunque non è impossibile raggiungere un aeroporto. E in Italia puoi arrivare con voli che fanno scalo su mete dove fare transito. Il consolato italiano e l’ambasciata ci tengono costantemente informati con la mail e con WeChat. Però è vero che cominciano a scarseggiare le mascherine. Per questo molte associazione di italiani che vivono in Cina hanno organizzato una raccolta: le mascherine donate vengono smistate in due hub, a Segrate e a Guidonia».
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