Dobbiamo affidarci alla scienza. Punto. Ché è l’unico modo per venirne fuori e tranquillizzarci l’animo. Virologi, scienziati ed esperti (tra l’altro) stan sempre lì: ventiquattrore al giorno chini sui loro microscopi a scandagliare e sezionale e studiare sto benedetto (si fa per dire) Covid19 che ormai chiamano per nome anche i bambini. La conoscenza, si sa, è la prima e fondamentale arma di difesa. E allora viene fuori che i ricercatori di cui sopra (anzi, proprio una squadra di cervelloni dell’università Statale di Milano) il coronavirus lo hanno preso di petto.
In laboratorio. Tra provette e manuali di biologia. Un loro studio appena inviato all’Oms,l’Organizzazione mondiale della sanità, e accettato per la pubblicazione sulla prestigiosa rivista Journal ofmedical virology, sostiene chele «polmoniti cinesi» siano iniziate ben prima di quando l’opinione pubblica planetaria si sia accorta della loro esistenza. «L’origine dell’epidemia da Sars-CoV-2», dicono, «può essere collocata tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di novembre dell’anno scorso, quindi alcune settimane prima rispetto ai primi casi di polmonite identificati». In Italia sarebbe sbarcato in gennaio.
Della serie, blocco dei voli da e per la Cina, quarantene e isolamenti: tutte prevenzioni che sono arrivate tardi. Mica per colpa di chicchessia, è semplicemente andata così. Poi, attenzione: tardi non significa inutilmente. «È verosimile», proseguono i dottori dell’equipe di Gianguglielmo Zehender, Alessia Lai e Massimo Galli, «che la rapidità di crescita dei casi si sia successivamente ridotta a seguito delle misure restrittive adottate in Cina». Ridotta, sì: perché la loro «indagine epidemiologico-molecolare condotta su 52 genomi virali completi del patogeno» (in tre parole, un report serio) ha pure accertato che dal dicembre passato Covid19 si è moltiplicato alla velocità sostenuta di 2,6 ulteriori casi per ogni contagiato.
Praticamente una corsa folle che vale il raddoppio dell’epidemia in quattro giorni. Accelerazione che «potrebbe essere dovuta a variazioni o alla capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo o alle caratteristiche della popolazione prevalentemente infettata». Di nuovo, è la scienza che ci può spiegare cosa è successo. Ed èla scienza che ci può aiutare a sconfiggerlo, il coronavirus. Questa ricerca italiana, condotta nella Clinica di malattie infettive Dibic dell’ospedale Sacco di Milano (stesso policlinico dove è stato isolato il ceppo italiano: altro decisivo contributo alla lotta contr oil virus), si è concentrata «sulle variazioni del genoma virale e quindi sulla filogenesi del virus stesso, e non sul numero dei casi osservati».