A 15 anni rapina un carabiniere e viene ucciso

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Notte tra sabato e domenica,via Generale Giordano Orsini, Napoli. Un carabiniere di 23 anni in borghese e fuori servizio -il suo reparto di appartenenza è in provincia di Bologna – è in auto, in compagnia della fidanzata, e sta per parcheggiare. La ragazza scende; il  militare sta per fare altrettanto, ma non ne ha il tempo: un uomo con il volto coperto da casco e scalda collo, che si era avvicinato a bordo di uno scooter aiutato da un complice, gli punta una pistola alla tempia. È buio, e la sagoma dell’arma – a lui che è un carabiniere – appare quella di una Beretta 92. Solo più tardi si scoprirà che è una pistola falsa, un’arma giocattolo, che sarà ritrovata poco dopo, in un luogo non distante, insieme al motociclo.

Fatto sta che quello che va in scena agli occhi del carabiniere napoletano è un tentativo di rapina e l’obiettivo è sia l’orologio che il militare porta al polso – un Rolex – siala collana d’oro indossata dalla ragazza. Poi è questione di secondi: il carabiniere si qualifica, avverte di essere un militare,ma per tutta risposta sente l’arma del rapinatore “scarrellare”. Così, sentendosi senza vie d’uscita, spara tre colpi in serie contro l’aggressore. Il primo al torace, il secondo alla nuca e il terzo all’indirizzo del complice. Sull’asfalto resta il corpo di Ugo Russo, 15 anni,incensurato, un lavoro come garzone di un fruttivendolo. È lo stesso carabiniere a chiamare i soccorsi. Inutili, visto che l’adolescente morirà alle 2,30 di domenica durante l’intervento chirurgico all’ospedale dei Pellegrini.

LE ACCUSE DEL PADRE Le ricostruzioni sono confuse. Sarà l’autopsia sul corpo del giovane, e il vaglio delle testimonianze da parte degli inquirenti – magari con l’ausilio delle telecamere di zona – a chiarire nel dettaglio cosa è accaduto nel quartiere di Santa Lucia nella notte tra sabato e domenica scorsi. Intanto il carabiniere potrebbe essere formalmente indagato per omicidio oppure di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa. In ogni caso, un atto dovuto. Diversa la ricostruzione dei familiari di Russo, con il padre Vincenzo che accusa il militare di aver voluto uccidere il figlio: «Gli ha sparato alle spalle, si è comportato come un criminale.

Me lo hanno ammazzato. Era un bravo ragazzo. Qualunque cosa stesse facendo, non vale una vita umana. Quando ho visto mio figlio in ospedale, aveva un proiettile al petto e l’altro,mi hanno spiegato i medici, dietro la testa, alla nuca. E in testa è un’esecuzione. Il carabiniere voleva fare Rambo». I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli interrogano il collega, che si difende («mi hanno puntato la pistola alla tempia») e identificano il complice di Russo: un 17enne, pure lui incensurato, che vive nei Quartieri Spagnoli, che si costituisce e che in serata sarà posto in stato di fermo per tentata rapina. Al momento, filtra dalla procura diretta da Giovanni Melillo, gli inquirenti ritengono attendibile la versione fornita dal militare.

ASSALTO AL NOSOCOMIO Malanotte di follia napoletana non finisce qui. Un’ora e mezza dopo il decesso di Russo, altri due ragazzi in scooter raggiungono la caserma “Pastrengo” – sede del comando provinciale dei Carabinieri – ed esplodono alcuni colpi d’arma da fuoco verso la facciata dell’edificio. Almeno quattro, rivela la testata on line fanpage.it, a guardare i fori trovati sui muri esterni del Comando. Due le ipotesi al vaglio degli investigatori: un gesto per ritorsione contro l’Arma, oppure un avviso ai familiari del complice di Russo,in quel momento in caserma. Complice in qualche modo ritenuto responsabile della morte del ragazzo per non averlo protetto. Nel frattempo i familiari e gli amici del giovane raggiungono l’ospedale dei Pellegrini. E qui succede il finimondo: il gruppo prende di mira le attrezzature del pronto soccorso del nosocomio,le devasta. Serve l’intervento della Polizia, ma alle 7 il personale sanitario,constatati i danni,è costretto ad alzare bandiera bianca. Ciro Verdoliva, direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro, decide di chiudere il reparto, «devastato dai familiari e amici del ragazzo. I nostri dipendenti sono stati vittime di insulti e minacce». L’attività è tornata regolare solo in serata