Raoul Bova dalla fiction sulla Croce Rossa al successo delle serie mediche

Questo articolo in breve

Squilla il telefono. È Raoul Bova, voce allegra. E schizzo in piedi, felice, perché in questo periodo ogni telefonata positiva ha un valore in più. Sono amico di Raoul Bova da più di vent’anni, poi si è innamorato di Chiara, la figlia dell’avvocatessa superstar Anna Maria Bernardini de Pace, anche lei mia amica come la madre, ha avuto i figli, Alessandro, Francesco, che ho incontrato da poco, ormai grandi.

Poi nella vita di Raoul è arrivata Rocio Munoz Morales, l’attrice, e non è stato facile per me restare equidistante, perché all’inizio era una situazione pesante. Intanto sono arrivate le bambine con Rocio, Luna e Sophia, una meraviglia e una iniezione di vitalità. In più finalmente Raoul e Chiara, uniti per il bene dei ragazzi, sono tornati in ottimi rapporti. E parte con lui una telefonata che in pratica si è trasformata (Raoul non me ne voglia) in una sorta di intervista.

In questi giorni sono grato a Raoul (e questa copertina di Novella vuole essere un grazie) per due motivi: sta lavorando a una fiction internazionale ispirato alla storia della Croce Rossa e al suo impegno nell’emergenza del Coronavirus nelle zone più colpite. E poi c’è una notizia più recente: Raoul ha messo a disposizione la sua masseria, trasformata in resort, in Puglia, per ospitare gratuitamente i volontari della Croce Rossa Italiana. Lo ha lui stesso spiegato all’agenzia giornalistica Ansa: «Ho messo a disposizione la mia masseria in Puglia, se ne avessero bisogno.

Io davvero ammiro il lavoro di questi volontari che arrivano alla CRI per tanti motivi e che nell’aiuto agli altri trovano una ragione importante, una missione oggi più che mai necessaria a tutti i livelli, dal semplice fondamentale abbraccio alle persone sole, agli aiuti sanitari nell’emergenza».

Raoul, che dirti? Grazie. «In questi giorni terribili, tutti si danno da fare. Poi io sono legato alla Croce Rossa da anni. Il marito di una mia sorella è di Prati di Amatrice e durante il terremoto ho visto quanto hanno fatto i volontari della Croce Rossa. È da allora che penso a una fiction su di loro».

Il Coronavirus ha sconvolto le nostre vite. La tua famiglia? Tutti bene? «Sì, per fortuna sì. Pensa che in un anno e mezzo ho perso il papà e la mamma, è stato terribile, però l’unica consolazione è che si sono risparmiati tutto questo».

Nel peggio noi italiani diamo anche il meglio. «Certo e così sono tornato alla carica per questa fiction. Sono ormai quattro anni che ci lavoro. Purtroppo mi dicevano che le fiction a tema ospedaliero non funzionano. Ma ora tutti hanno capito che la sanità è un aspetto della vita di tutti fondamentale e il successo della fiction Rai con Luca Argentero,Doc-Nelle tue mani, ne è la dimostrazione». La fiction con Argentero ispirata a un medico che oggi lavora all’ospedale di Codogno contro il Coronavirus ha avuto 8 milioni e passa di telespettatori, con uno share del 30 per cento. «Prima di questi giorni tutti erano certi che la fiction italiana dovesse seguire le strade di Gomorra, raccontando gli aspetti più terribili dell’Italia, ma con la tragedia del Covid-19 si è capito il valore vero delle persone impegnate nella lotta quotidiana per la salute».

Sarà una fiction per Mediaset o per la Rai? «Non so ancora, se vorranno partecipare alla produzione sarà molto interessante. Sto comunque pensando a una produzione internazionale, davvero mondiale». Sarà tutta imperniata sul Coronavirus? «Stiamo scrivendo una storia che alterna il passato e il presente. Dalla creazione della Croce Rossa al Covid-19. La Croce Rossa è nata nella Seconda guerra di indipendenza, durante la battaglia di Solferino, nel mantovano». Era il 24 giugno 1859: Seconda guerra d’indipendenza, esercito austriaco contro i francesi affiancati dagli italiani. 12 ore di combattimento, 200.000 soldati, 5.000 morti.

Un disastro spaventoso: sangue, feriti,morti, carne da cannone, in poche ore. «Da Castiglione delle Stiviere, sempre nel mantovano, partì un gruppo di donne straordinarie per soccorrere i feriti e soccorrevano tutti, italiani, francesi, austriaci. Chiunque ne avesse bisogno». Leggo suWikipedia: «I feriti vennero portati presso il Duomo di Castiglione delle Stiviere e lì, con l’aiuto della popolazione, specialmente femminile, vennero prestati soccorsi a tutti, senza riguardo alla divisa indossata, avendo come riferimento il motto Tutti Fratelli». «Quella battaglia ispirò il medico svizzero Henry Dunant, che creò nel 1864, a Ginevra, la Croce Rossa. Un’ispirazione, ripeto, che partiva dalla straordinaria generosità della popolazione di Castiglione nel prestare soccorso a migliaia di feriti».

Dunant scrisse e pubblicò a sue spese il libro, Un Souvenir de Solférino. Per la sua attività e le sue idee venne insignito del primo Premio Nobel per la Pace, nel 1901. Ma poi arriverai ai giorni nostri nella fiction. «La battaglia continua, allora si parlava di 5000 morti, oggi i numeri sul fronte del Covid-19 sono ben superiori. L’Europa in queste settimane ha dimostrato di non essere poi così unita, ma nella battaglia al Covid si è ricreato un interesse comune: siamo uniti nella stessa lotta, contro il male ed è proprio lo spirito della Croce Rossa». Immagino che tu sarai protagonista della fiction. «Sì, sarò il presidente di una Croce Rossa territoriale, che da Roma andrà nella zona rossa della Lombardia colpita dal Covid. In pratica è un operatore che scende in trincea, come fece
allora Dunant. Puntii della storia per ora sono solo abbozzati, ma siamo a buon punto nella scrittura».