L’idea di costruire muri contro i migranti non è proprio contemporanea. Viene da pensarlo, dai risultati di una missione archeologica in Mongolia diretta da Gideon Shelach-Lavi, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che ha studiato la parte più settentrionale della Muraglia cinese: un terrapieno alto un paio di metri che si estende per 740 km nelle steppe mongole (nella foto, invece, la sezione più visitata, a Badaling, a Nord di Pechino). Migrazioni. Quel tratto fu aggiunto tra l’XI e il XIII secolo e si pensava servisse a bloccare gli invasori nomadi a cavallo. «Ma i nostri rilievi svelano che era troppo bassa e debole per fermare un esercito, e intervallata da 72 strutture che non sembrano forti militari», dice Shelach-Lavi. «Pensiamo quindi che servisse piuttosto a regolare l’afflusso di pastori e altri profughi che, spinti da un raffreddamento del clima, cercavano di migrare verso la Cina, facendo pagare loro un dazio per l’ingresso».
A cosa serviva la Muraglia Cinese?
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