Video Highlights Inter – Milan 1-2: Cronaca e tabellino con Sintesi e Gol

Questo articolo in breve

Il Milan cambia. Modifica il proprio aspetto. Lui no. Se confrontate una conferenza stampa di Pioli della scorsa estate – quando Rangnick gli stava appollaiato sulla spalla–con quella di ieri, noterete ovviamente differenze nelle parole ma non nell’espressione. L’equilibrio, ovvero ciò che un allenatore insegue famelicamente dentro il campo, in questo caso è la sua forza più grande al di fuori. Non si era dato per morto allora, non cade nelle facili esaltazioni adesso.

E questo, per la cronaca, è il pregio che più sta piacendo alla proprietà. Stile. Pioli lo ha mantenuto bene lungo la partita, anche quando il suo Milan è andato sotto pressione e anche quando Krunic nella ripresa ha spedito in orbita una gustosa occasione per il tre a uno del k.o.

E’ volata un’imprecazione veloce, giusto il tempo di riprendere a dare le consegne ai suoi. Pioli è riuscito dove non si era ancora spinto: fra Roma e Milano (entrambe le sponde) fino alle 18 di ieri non era mai arrivata una vittoria in un derby (in sette tentativi). E sta spingendo lontano anche il Milan: primato in classifica in solitaria, ventesimo risultato utile di fila, ovvero da quando si è ricominciato a giocare a pallone dopo il lockdown.

Avevamo evocato Ibraku, il dio del gol. Eccolo, imperioso: 2 gol Ibrahimovic, uno Lukaku. Si è imposta la metà rossonera e il Milan si è addormentato da solo in testa al campionato (Juve a -4 e Inter a -5), emozione che non provava dal 2011-12. Per ritrovare un bottino pieno nelle prime 4 di campionato bisogna rinculare addirittura al mento forte di Fabio Capello 1995-96. Quattro anni distava invece l’ultimo derby vinto in Serie A. Insomma ieri il Milan ha fatto qualcosa d’importante. Ibra lo aveva raccolto avvilito a gennaio. Prima lo ha riportato in Europa, ora in cima al campionato. Non solo lui, per carità. Ma Zlatan è stato il primo a ispirare la fede, a guidare la risalita ed è quello che ci mette i gol: 4 in 4 giornate. Come Lukaku.

Che ieri avrebbe potuto segnarne altrettanti. Ecco, se il Milan si specchia in Ibra, Big Rom è lo specchio dell’Inter: la sensazione di uno strapotere assoluto che non riesce a trasformarsi in gol. Si è abbattuto sui centrali di Pioli come un uragano, travolgendoli, ma ha avuto i palloni per fare la storia e non l’ha fatta. Ibra, con molto meno, sì. L’Inter è uguale a Romelu. Anche ieri abbiamo avuto la sensazione netta che l’Inter fosse più forte del Milan. La Lu-La, a tratti, è parsa incontenibile, Hakimi pure. Se innescati con regolarità, quei tre dovevano bastare e avanzare.

Non è successo. E ha pagato i troppi errori, soprattutto in difesa, e al tiro. Il Covid è un’attenuante (Skriniar, Bastoni…), ma l’Inter ha perso per colpe proprie e anche per una certa supponenza tattica che in avvio ha esposto la squadra a rischi esagerati. Oggi Pioli ha dato un’identità e uno spirito che Conte deve ancora trovare. Pur avendo individualità migliori. La prima di Pioli C’è un milanista che ha più meriti di Ibrahimovic: Stefano Pioli. L’8 marzo perse in casa con il Genoa e imbucò il tunnel di lockdown da “dead coach walking”, una mosca nella tela del Rangnick. Ha lavorato in silenzio, con l’autocontrollo di monaco tibetano, mentre Ralf cicalava, ed è uscito dal tunnel con un Milan tatticamente quadrato, fisicamente tonico che ha messo in fila 16 risultati utili in campionato.

Si è guadagnato la stima di Ibra fin dalla prima ora, uno che non la molla facilmente. Diceva: «Calha ha nei piedi gol e assist». Glieli ha tirati fuori. Nel derby precedente, in vantaggio di 2 gol, ne aveva subiti 4. Se ieri il Milan, in vantaggio di 2 gol, ha tenuto a distanza una squadra superiore, è perché Pioli gli ha dato nuove sicurezze e nuovo cuore. Bravo a scegliere Leao e bravo a pilotare in porto la vittoria con i cambi. Alla fine tutti sotto la curva vuota: anche questa empatia porta punti ed è merito del mister. Il premio per tutto questo? Vincere il primo derby dopo 7 tentativi, tra Milano e Roma. Ti dà il senso di una svolta. Conte, che ne aveva vinti 6 su 6 in SerieA, conosce la prima sconfitta.

Calha troppo libero Prima cosa che balza all’occhio: Calhanoglu al centro del campo senza nerazzurro attorno, un distanziamento sociale davvero incomprensibile. Conte tiene alto Barella in posizione di trequartista e a interdire, quando il Milan riparte, mai pressato con ferocia, restano Vidal e Brozovic. Il centrocampista croato non è nato per marcare e per rispettare consegne rigide, ma è proprio lui che incrocia più spesso Calha. Una volta lo rincorre e inciampa goffamente. Morale, il fantasista turco, con una libertà che non avrebbe osato chiedere, prima lancia in verticale Ibrahimovic che si procura e realizza in due tempi il rigore del vantaggio (13’) e, tre minuti più tardi, fa correre Leao che da sinistra crossa per il raddoppio di Zlatan.

Torniamo indietro di qualche fotogramma. La marcatura ingenua e il fallo di Kolarov smentiscono 34 anni di esperienza. Il fatto è che difendere in fascia è una cosa, in area è un’altra vita. L’ex giallorosso aveva già peccato con la Fiorentina e il Benevento. Serviva proprio? Qualcuno avrà rimpianto Godin, pagato per andarsene. Nella settimana dei reduci dalle nazionali, un assetto più prudente, forse, avrebbe aiutato. Invece così, regalando spazi, il derby interista si è bruciato in 3 minuti, anche se non sono mancati il tempo e le occasioni per ribaltarlo. Conte, quanto lavoro Lukaku lo ha riaperto al 29’, su assist di Perisic, e avrebbe potuto pareggiarlo già prima del tè con un colpo di testa finito a lato di nulla (47’). Poco prima, un salvataggio di Kjaer sulla linea e una parata di Donnarumma su Barella. Nella ripresa un erroraccio di Hakimi, di testa, su idea di Vidal, un rigore cancellato dal Var e, sui titoli di coda, una zampata a lato di Lukaku. Anche in un derby perso, l’Inter ha toccato con mano la sua forza, che è tanta. Ha tempo e risorse per realizzare i suoi sogni. Ma non può sbagliare così tanto, non può subire 8 gol in 4 partite e deve trovare al più presto una forma tattica per servire al meglio i suoi gioielli, a partire dalla Lu-La. Difficile dire ora cosa può sognare questo Milan. E’ giovane. Deve solo proseguire la sua crescita con umiltà ed entusiasmo. Intanto non ha squadre sopra la testa. E Ibrahimovic è il signore di Milano.

E viene un tempo che ti chiedono «Ce la fai?». E sì, ce la fa. Con qualche ruga in più, o qualche capello bianco, con i movimenti più morbidi, ma che continuano ad ingannare gli avversari. La domanda rivolta da Stefano Pioli a Zlatan Ibrahimovic non era retorica («era molto stanco, mi ha chiesto il cambio ma non l’ho ascoltato»). Il tecnico del Milan voleva sapere se il suo leader avesse ancora energie sufficienti, mancava poco al novantesimo e si annunciava un finale di partita caldo. Zlatan è stato a casa con il virus, non ha potuto allenarsi come gli altri, ma non è come gli altri. E’ una considerazione semplice, un’evidenza. Zlatan Ibrahimovic non è come gli altri.

A 39 anni e 14 giorni è entrato nella top ten dei goleador più vecchi della Serie A ed è con Piola il bomber con più marcature multiple in Serie A (4) dopo i 38 anni. E’ anche il marcatore più anziano in un derby di Milano. Ma questi sono soltanto numeri, come l’età, fra l’altro. L’essenza di Zlatan è un’altra cosa ed è quella che conta. «Sento responsabilità da leader, ho voglia di vincere. Ho fame». Sui social ha messo la foto di un leone col muso insanguinato dopo aver sbranato la preda. «Fame», ha scritto anche lì. Un po’ eccessivo forse, ma Zlatan è questo. «Stupito da me stesso? No. So che cosa posso fare. E uno che crede può fare tutto. Lo scudetto? Secondo me c’è la possibilità, di sicuro. Noi ci crediamo e stiamo lavorando per questo, poi alla fine vedremo come andrà». Dieci anni dopo, ha deciso un altro derby a casa Inter. «Ma il rigore non avrei dovuto sbagliarlo».

Numeri Le statistiche sono interessanti, possono raccontare molte cose o essere soltanto un gioco divertente. Per dire: il più anziano ad aver segnato in campionato è Alessandro Costacurta, non proprio un goleador, dietro di lui Piola, lui sì uno specialista, poi Vierchowod, Totti, Pellissier, Maldini, Reguzzoni, Sensi. Quindi Ibrahimovic e decimo Luca Toni. Ecco, a volte il gol non più verde è una casualità, a volte un marchio di fabbrica. Vale per Totti, il più vecchio ad aver segnato una doppietta, vale per Zlatan. Ma più delle statistiche raccontano tutto gli sguardi e gli abbracci dei compagni, Rafael Leao che gli scompiglia lo chignon, Theo Hernandez che gli si arrampica addosso. Ibrahimovic è il miglior investimento del giovane Milan ecosostenibile. Perché verrà un tempo diverso per quelli che adesso hanno vent’anni o poco più, ma al momento lo svedese resta il catalizzatore del Milan. Una squadra che ha raccolto buoni risultati ed è rimasta imbattuta anche durante la sua assenza per Covid, però chissà, forse non sarebbe stata in grado di sopravvivere senza il suo totem all’assalto di Lukaku, in un San Siro immenso e vuoto.

I rumori facevano ancora più rumore, le tensioni avrebbero potuto moltiplicarsi. Prima della partita, il cielo blu sopra lo stadio trasmetteva quella serenità che Pioli utilizza come carburante per il suo Milan in costruzione. Ma la serenità non basta. Zlatan appartiene alla razza Mourinho, sente il rumore dei nemici, sportivamente parlando. Il gol gliha richiamato il solito gesto della mano come a zittire qualcuno, perché da ex interista non dimentica gli urli e i boati. «Ho sentito uno del pubblico e gli ho risposto». Lo ha messo a tacere con una doppietta che riconsegna un derby al Milan dopo quattro anni.

Fiducia Ora il Milanè intesta alla classifica in solitudine: il lavoro era già stato avviato prima, Zlatan ha messo la firma in una serata importante, che come aveva specificato Pioli alla vigilia non vuol dire molto per la classifica, ma aver battuto l’Inter dopo quattro anni aiuta. Adesso più che mai nel Milan si avverte una sensazione nuova, di certe distanze che esistono ancora, però magari ridotte. Però c’è un patto, un patto per non porsi limiti. E questo è abbastanza ragionevole, soprattutto con un Ibrahimovic così. Ancora Zlatan: «Non mi sento come quel leone, sono quel leone. Sono tornato per sentirmi vivo, Mino (Raiola, l’agente dello svedese, n.d.r.) mi aveva detto: “Troppo facile chiudere in America”. Ed eccomi qui, mi sento completo. Nonho la condizione dei venti o trent’anni, ma non mi ferma nessuno lo stesso. Facevo tamponi ogni tre giorni, aspettando di essere negativo e dicevo, ok, queste partite le posso saltare, ma il derby lo gioco sicuramente». Il leone è tornato e ruggisce. «Io non accetto quando uno si rilassa in allenamento o partita. La mia filosofia è “come ti alleni giochi la partita”. Questa è la mia filosofia». I compagni lo amano, lo seguono. Si fanno sbranare di rimproveri. Il Milan cresce anche così.