Stefano Paglia, 49 anni, è il primario dei pronto soccorso di Codogno e di Lodi. È lui che mette tutti in allerta: “Stiamo facendo il conto alla rovescia. Monitoriamo minuto per minuto i nuovi contagi nella zona rossa e nelle aree confinanti: ci aspettano altri due giorni con il fiato sospeso per capire se qui la grande ondata dell’epidemia è passata e quando arriverà nel resto della Lombardia”.
Come tutti sappiamo, la prima linea del coronavirus in Italia, ormai allargata agli ospedali di Seriate, Cremona, Crema, Bergamo e Piacenza, passa qui.
Il cosiddetto “paziente uno” del Covid-19, grazie all’intuizione di una anestesista, è stato individuato a Codogno dodici giorni fa. Dal 20 febbraio Paglia non lascia il reparto. A Lodi lotta in silenzio con medici e infermieri a cui il Paese guarda quale presidio estremo della forza morale collettiva. All’inizio sono finiti pure sotto accusa e la Procura lodigiana è stata costretta ad aprire un’inchiesta, considerandoli però “vittime”.
“Nessuna amarezza – dice – la coscienza è a posto. La verità è che a Codogno, grazie a una straordinaria e anonima dottoressa con qualità cliniche di altissimo livello, l’Italia ha scoperto l’epidemia. Ha avuto il tempo per reagire e può tentare di limitarne le conseguenze. L’inchiesta così potrebbe perfino farci scoprire cose interessanti”.
È lui a raccontarlo: “Il cosiddetto “paziente uno” all’inizio aveva i sintomi classici di un’influenza e per due volte ha negato relazioni sospette con la Cina. Non rispondeva alle terapie ed essendo giovane era stato invitato invano a rimanere in ospedale sotto osservazione. Si è ripresentato il 19 notte, la polmonite si era aggravata, nessun farmaco funzionava. Nel primo pomeriggio di giovedì 20, dopo il trasferimento dalla medicina alle terapie intensive, si è accesa la lampadina all’anestesista che ha salvato tutti dalla catastrofe”.
E conclude: ”Non sono preoccupato e le persone non devono allarmarsi. L’importante è capire che il sacrificio fatto dentro la zona rossa e lungo la cintura sanitaria creata attorno a Milano, ha un senso e può accelerare la ripresa della salute e di una vita normale. I miei colleghi in Lombardia lo sanno e già stanno facendo ciò che serve”.