Sto morendo”. “Che dici? Perchè?”. “Non respiro più ha detto medico ciao”. “Non mollare, ti voglio bene, fallo per me”. “Ma ormai non dipende più da me mi hanno dato la morfina”. Annalisa se ne è andata così, con un saluto via WhatsApp ai suoi figli, mentre l’infermiera si accingeva a darle la morfina. E poi, dall’ospedale di Ponte San Pietro, nel bergamasco, il suo corpo è stato caricato su uno di quei camion dell’esercito e portato a Bologna, dove i figli cercano ancora le sue ceneri.
Nicola, il figlio maggiore che vive a Brembate, in provincia di Bergamo, ha la voce pacata di chi ha affrontato un dolore troppo grande per provare rabbia. “Mia mamma Annalisa aveva 75 anni ma a parte qualche problema di cataratta stava bene. Intorno al 4 marzo ha cominciato ad avere la febbre e dolori muscolari molto forti.
Abbiamo fatto tutta la trafila, il numero verde, il 112, il medico di base, ma tutti dicevano stia a casa, è una normale influenza”. Il medico di base le aveva prescritto qualcosa? “Un antibiotico, visto che la considerava influenza”. E voi? “Siamo a due passi da Bergamo, vedevamo che in giro c’era solo il Coronavirus, non ‘una normale influenza’ e, visto che mia madre non guariva, anche se non aveva tosse, mio padre il 9 marzo l’ha portata in ospedale, a Ponte San Pietro, reclamando un po’ di attenzione”.
Cosa vi hanno detto lì? “L’hanno parcheggiata su una barella al pronto soccorso per un giorno in attesa di visite, c’era il caos”. Ci saranno stati casi più urgenti, immagino..
“Sì, entravano tutti in codice rosso. Le hanno trovato un letto il giorno dopo. Ci diceva che la volevano spostare a Milano perché sembrava un caso non troppo grave, i medici, seppure con grande prudenza, chiarendo che la malattia è imprevedibile, ci hanno spiegato che poteva farcela”. Ma il tampone gliel’hanno fatto? “Dopo un giorno, ma gli esiti sono arrivati dopo tre giorni. Quando è risultata positiva hanno cominciato a somministrarle i farmaci per il Coronavirus”.
Quindi sembrava sotto controllo. “Sì, aveva solo i tubicini nel naso, facevamo videochiamate, raccontava a me, a mio padre e mia sorella come stava. Poi ad un tratto, il 18 marzo ha cominciato a stare male. Respirava a fatica, è finita sotto il caschetto”. Ve lo ha detto lei? “La tragicità della cosa è che è stata lei a dirci che stava morendo”. Via WhatsApp? “Sì, con un messaggio in cui ci informava che le stavano dando la morfina, che stava morendo”. Dall’ospedale non vi hanno avvisati? “Noi dieci minuti dopo abbiamo ricevuto una chiamata dall’ospedale in cui ci dicevano che la situazione era disperata, che le avrebbero dato la morfina, ma secondo noi era già accaduto, come aveva scritto mamma”.