Diavoli è la serie di Sky co-prodotta insieme a Lux Vide che, già dal primo trailer, ha attirato le attenzioni di pubblico e critica. In tempo di Coronavirus l’anteprima con red carpet è stata sostituita da una conferenza stampa in diretta streaming. Sky Atlantic ha organizzato un incontro con gli attori protagonisti Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak, oltre che con i produttori e i registi. Il primo episodio, andato in onda 17 aprile, è stato visto da 637mila spettatori divenendo così il miglior esordio per una serie Sky Originai della stagione 2019/20. Abbiamo intervistato i due protagonisti della serie, tratta dal romanzo I Diavoli di Guido Maria Brera.
Alessandro, anzitutto: come sta passando questa quarantena? «Sicuramente non ho imparato a cucinare, non ci sono pandemie che potrebbero contribuire a questa cosa! Sto bene, mi passa velocemente, suonicchio la chitarra, vedo tanti film e serie tv». Chi sono i “diavoli” di cui parla la serie tv? «Chi sono l’ho scoperto interpretando il mio ruolo. Ci sono persone che fanno parte del mondo della finanza e che hanno poca etica, ma ce ne sono moltissime che la mettono al primo posto. E sono quelli che mantengono l’ordine. La finanza è uno strumento politico e di potere e alcuni si preoccupano che questo strumento politico non vada contro i cittadini, ma sia dalla loro parte.
Non solo nel mio personaggio, ma in tutti c’è un dualismo tra il lato buono e quello cattivo: se alla fine della serie ognuno si farà una propria idea sui personaggi noi avremo raggiunto l’obiettivo».
Quale pensa che sarà il futuro del cinema, viste le precauzioni per la pandemia? «È un periodo difficile e il nostro lavoro seguirà il cambiamento delle nostre vite. Molti ridurranno troupe e contatti, ma mi auguro che sia solo una transizione prima di tornare a svolgere questo mestiere come va fatto: se eravamo in cento non possiamo diventare cinquanta. Quello che sto sentendo in giro è che torneremo a girare, ma con troupe ridotte.
So queste cose perché mi è rimasta una serie a metà (la terza stagione di Suburra, ndr), e per ricominciare a girare sento parlare di fare tamponi a tutti i coinvolti e poi di girare con metà troupe».
Con Diavoli è entrato nel mondo della finanza: come vi si è approcciato? «Avevo qualche dubbio, ad esempio riguardo al gergo utilizzato, ma quando la compagnia è buona è tutto più facile. I riferimenti per sviluppare lo squalo della finanza che appaio sono legati al libro, ma la differenza l’ha fatta l’amicizia con Guido Maria Brera che mi ha permesso di conoscere certi contesti e uscire dai luoghi comuni della finanza.
Chiudo tornando a parlare del futuro: non bisogna ritornare come eravamo prima, il problema è lì, bisogna stare più attenti a quello che ci circonda, rincorrere il successo ci fa dimenticare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Fermiamoci tutti a respirare, pronti a fare un passo indietro». Cosa le è rimasto di questo set? «Anche se c’è sempre una parte tecnica del lavoro su cui focalizzarsi, quello che rimane sono le persone. Da Diavoli mi sono portato dietro degli amici davvero speciali».
E invece con l’inglese, se l’è cavata bene? «In realtà ci sono in gioco alcuni fattori: madre natura mi ha dato un buon orecchio, sin da quando studiavo inglese a scuola. Magari facevo fatica con la grammatica, ma ripro- ducevo molto bene il suono! Vedendo tantissimi contenuti in lingua originale (non guardo roba doppiata da 10 anni) ho sempre allenato molto bene il mio orecchio. Ma per Diavoli volevano che avessi un accento british, mentre io sono più abituato a parlare con accento americano. Non solo: applicare tutto questo alla finanza complicava ancora di più le cose. Ecco quindi che mi sono affidato ad Adrian, il mio coach, che mi ha allenato per ben tre mesi. Ci sentivamo spessissimo e parlavamo per un’ora al giorno in inglese. Il segreto per raggiungere
un obiettivo è sempre l’allenamento».
Ha paura delle critiche per questo ruolo internazionale? «Io accetto le critiche positive e negative, non è una cosa che vivo con ansia. Il nostro lavoro consiste nel creare e condividere ciò che facciamo. Quando inizia la condivisione diventiamo anche noi spettatori, mi interessa ascoltare i feedback e per questa serie ne ho già ricevuti di positivi. Se poi a qualcuno non piace, pazienza!».
Altro grande protagonista della serie è Patrick Dempsey, che si è collegato dagli Stati Uniti. Patrick, cosa l’ha colpita di più di questo progetto? «La sceneggiatura era avvincente, dunque l’ho considerata un’opportunità. Ho trascorso del tempo con Guido Maria Brera che mi ha dato una lista di libri da leggere e devo anche a ciò la mia ispirazione». Chi sono i veri L Diavoli? «I personaggi di Diavoli hanno lati positivi e negativi, dipende dalla situazione in cui si trovano e dalle scelte che devono fare. Tutto ciò è affascinante».
Cosa pensa del periodo che stiamo vivendo? «Siamo sull’orlo del caos totale e dobbiamo fare in modo che la situazione resti sostenibile. Cosa è sostenibile è la domanda cui dobbiamo dare risposta. Le serie tv sono molto cambiate, prendiamo questo periodo del Coronavirus: la televisione, ora che siamo tutti a casa, ci permette di capire la qualità di quello che vogliamo vedere. La gente sceglie il proprio intrattenimento e bisogna sempre tenere presente che tutto evolve e bisogna essere sempre pronti a cambiare». Cosa guadagneremo in futuro da questa situazione, secondo lei? «Bisogna stare attenti alle azioni che si compiono. Quello che viene da situazioni egoistiche porterà a pagare un prezzo alto»