Tom Cruise a Roma, disagi per il Policlinico Umberto I

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È una vergogna, la gente sta per morire e loro fanno film»: è la voce sdegnata di un medico del Policlinico Umberto I di Roma. «Non riesco nemmeno a passare per andare nel mio studio», mi dice. E sono tanti i malumori all’interno dell’ospedale tra medici, infermieri, ausiliari e, ovviamente, pazienti. Ma facciamo un passo indietro.

A Roma è arrivato Tom Cruise con il regista Christopher McQuarrie, la bella Hayley Atwell e tutta la troupe con una quarantina di mezzi della produzione al seguito: hanno scelto la Capitale per girare l’ultimo capitolo (o quantomeno, molte scene) di Mission Impossible, numero sette.

E i romani se ne sono accorti perché oltre al traffico abituale, le buche e tutte le difficoltà di chi deve spostarsi, si è aggiunto il disagio di trovare, a sorpresa, le strade chiuse. Fin qua, tutto superabile.

L’indignazione nasce dal fatto che la troupe, con le sue 180 e più persone, per circa una settimana, si è spostata all’interno dell’Umberto I, uno dei due Policlinici di riferimento del Lazio per il coronavirus. L’ospedale è stato letteralmente preso d’assedio con gli operatori del film sparsi qua e là, anche fra le barelle con i malati.

È difficile capire come sia possibile che, in un periodo drammatico come questo, con l’innalzamento costante dei contagi, si sia dato il permesso di ospitare una troupe cinematografica hollywoodiana. «Non era il momento», mi dice un’infermiera. «L’unica cosa positiva è che hanno fatto un po’ di pulizie, ma l’ospedale è un ospedale e non può essere una messa in scena».

Il set è stato posizionato nel grande salone al primo piano della Direzione generale diventata zona off limits: con più di cento bodyguard e un numero infinito di tecnici e addetti alla produzione è stato piuttosto difficile, se non impossibile, accedervi. Non solo. Le scene sono state girate anche in altre parti dell’ospedale creando difficoltà a medici e infermieri che, durante le riprese, non potevano passare da un reparto all’altro. Ma, neanche a dirlo, a farne davvero le spese sono stati i pazienti, spostati qua e là in base alle esigenze della produzione.

E così persone sulle barelle al pronto soccorso sono state spostate nei reparti ancora non “trasformati in set cinematografici” e viceversa. «Non ho neanche le parole per esprimere il disgusto di quello che vedo», si sfoga Nadia, «mio padre ha il coronavirus, sta molto male e questi si mettono a girare un film.

Prima si è avvicinata una donna con la figlia per chiedermi se ho visto Tom Cruise, ma le pare possibile?». «Qui non siamo a Hollywood», le fa eco Giorgia, mamma di un bambino ricoverato, «siamo in un ospedale con gente che soffre, non solo è di cattivo gusto ma proprio irrispettoso». Eppure il Campidoglio aveva annunciato con grande enfasi l’arrivo di tutta la produzione, con Tom Cruise e company definendolo «un segnale importante per Roma e per il Paese dopo il blocco totale generato dal lockdown che ha colpito pesantemente la produzione cinematografica in tutto il mondo».

In effetti, le riprese hanno un po’ rimpinguato le casse esigue della Capitale: dei circa 35 milioni di costi della produzione in Italia, oltre 18 milioni sono spesi a Roma. Nel dettaglio: 1,1 milioni sono andate nelle casse dell’amministrazione pubblica (tasse, ztl, polizia municipale, nettezza urbana) e circa 800 mila per affitto di locali privati. Resta da sapere quanti soldi sono andati al Policlinico. Fino a ora, nessuna risposta.