Non è il più decisivo, né il capitano, eppure Danilo sta diventando a modo suo un simbolo della Juventus di Andrea Pirlo. Per la precisione l’emblema della multiforme identità tattica bianconera, fissa nel 4-4-2 difensivo e variabile nei diversi assetti assunti dalla squadra in fase di possesso, a seconda di periodi, giocatori schierati e avversari.
Fin dall’inizio il brasiliano è stato uno dei calciatori chiamati a cambiare posizione tra le due fasi di gioco: terzino classico nel 4-4-2 difensivo – a destra o a sinistra a seconda che l’altro difensore esterno sia Cuadrado oppure Alex Sandro – terzo centrale in fase di costruzione, con l’altro terzino proiettato in avanti.
Ultimamente, però, sempre più spesso Pirlo ha cambiato la composizione del primo terzetto di costruttori di gioco: ad aggiungersi ai due difensori centrali all’inizio dell’azione non è più un terzino che si accentra, ma uno dei due centrocampisti centrali che si abbassa in mezzo a loro. E’ successo più volte contro la Roma, quando i terzini sono rimasti più larghi e più avanzati rispetto al terzetto arretrato, ed è successo con ancor più frequenza contro l’Inter in Coppa Italia e il Napoli in campionato. Partite in cui entrambi i terzini contro i nerazzurri, il solo Danilo sabato sera, hanno preso posizione al centro del campo quando la Juventus iniziava a impostare da dietro.
Non è un caso che la soluzione sia stata utilizzata con più frequenza, anzi, praticamente sempre, contro Inter e Napoli: in entrambe le partite non giocava Bonucci, sicuramente il più bravo in impostazione dei centrali bianconeri. Far abbassare un centrocampista al suo posto permette di compensare la sua assenza o, se fatto con Bonucci, di alzare il tasso tecnico del trio deputato ad avviare l’azione. Alternare le due soluzioni (terzino che si accentra e centrocampista che si abbassa), permette invece di togliere punti di riferimento agli avversari.
Ovviamente, se un centrocampista si abbassa lascia un buco in mezzo al campo e la necessità di occuparlo. Pirlo ha scelto di farvi fronte accentrando Danilo o (contro l’Inter per non rischiare l’inferiorità in mezzo al campo) entrambi i terzini. Scelta dovuta anche ai giocatori schierati sulle fasce a centrocampo: contro la Roma, con McKennie in campo, era spesso lui ad affiancare il centrocampista centrale rimasto in posizione. Un compito che Il tecnico non poteva affidare a Chiesa, Cuadrado e Bernardeschi (i tre impiegati da esterni alti contro Inter e Napoli), perché esterni puri al contrario dello statunitense. Così ha scelto l’accentramento di Danilo, mossa che per altro è un classico di Pep Guardiola dai tempi del Bayern e che ultimamente vede protagonista l’ex bianconero Joao Cancelo nel City. Lo spostamento di Danilo, che avviene sempre a palla già in movimento e di solito porta l’esterno avversario a seguire il brasiliano, oltre che a non scoprire la zona centrale serve anche a liberare la fascia per un passaggio diretto all’esterno alto, a quel punto di solito isolato uno contro uno. Tutto grazie a Danilo: terzino, centrale e ora anche centrocampista.
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Stasera niente sgabello, trovare un seggiolino libero tra i 50 mila posti del Do Dragao sarà l’ultimo dei problemi visto che lo stadio sarà deserto. Leonardo Bonucci, però, non starà comunque comodo. A proprio agio si sente soltanto in campo, non sugli spalti. E invece, anche stavolta, il difensore juventino guarderà i compagni dall’alto. Porto è davvero stregata per il vice-capitano. Dalla tribuna punitiva del 2017, vissuta sul celebre sgabello a causa del battibecco con Massimiliano Allegri, all’infortunio delle ultime ore che lo ha obbligato ad alzare bandiera bianca ancora prima di sapere se sarebbe toccato a lui o a Matthijs De Ligt (che partiva comunque favorito) far coppia con Giorgio Chiellini contro i Dragoes. Andrea Pirlo si è risparmiato una scelta difficile, ma ne avrebbe fatto volentieri a meno dal momento che rischia di perdere Bonucci ben oltre il big match di stasera. Dagli ambienti bianconeri filtra un po’ di ansia: si teme uno stop di due o tre settimane.
Il quadro sarà più chiaro domani. Bonucci, nonostante il ko, ha voluto seguire la squadra a Porto e così soltanto nelle prossime ora, al rientro in Italia dalla trasferta di Champions, effettuerà gli esami al J Medical e capirà la gravità del problema alla coscia. La speranza è che gli accertamenti ridimensionino le prime sensazioni, tutt’altro che positive. In caso contrario il 33enne juventino, comunque non nuovo a recuperi lampo, sarà costretto a prolungare ulteriormente il periodo in infermeria inaugurato la scorsa settimana. A causa di un affaticamento ha già saltato il ritorno di Coppa Italia con l’Inter e la trasferta in casa del Napoli. Con altri venti giorni di stop saluterebbe gli incontri di campionato contro Crotone, Verona e Spezia. A quel punto l’obiettivo sarebbe quello di rientrare tra la Lazio (6 marzo) e l’ottavo di ritorno contro il Porto (9 marzo).
Aspettando gli esami, Bonucci come al solito pensa positivo e soprattutto alla squadra: per questo ha seguito i compagni in Portogallo pur sapendo di non poter essere protagonista in campo. Ma da perfetto senatore, è consapevole di poter dare una bella mano già soltanto con la propria presenza in gruppo. Gesto non scontato che conferma una volta di più l’unità con cui i bianconeri sono pronti ad affrontare la fase finale della Champions, la rimonta in campionato e la finale di Coppa Italia.
Nel blindatissimo quartier generale portoghese della Juventus c’è anche Paulo Dybala. La Joya, assente dal 10 gennaio quando si è infortunato al ginocchio contro il Sassuolo, non è ancora pronto per giocare. Ma proprio come Bonucci, ha voluto fare gruppo e vivere una sfida così importante accanto ai compagni. A differenza dell’azzurro, il numero 10 argentino sta sempre meglio. Il giorno del grande ritorno potrebbe essere lunedì prossimo, quando allo Stadium arriverà il Crotone. L’ottimismo cresce. Dybala negli ultimi due giorni si è allenato con la squadra e le sensazioni sono buone.
Sono rimasti a Torino, invece, Arthur e Juan Cuadrado, alle prese con le rispettive cure. Il colombiano, infortunatosi a Napoli, difficilmente rientrerà prima di venti giorni (obiettivo Juventus-Lazio). Mentre il centrocampista brasiliano, sofferente a causa di una calcificazione di natura post traumatica a livello della membrana interossea tra tibia e perone, sta proseguendo una terapia coservativa nella speranza di evitare l’intervento chirurgico.
Ne ha vissute altre trentaquattro di vigilie così, Giorgio Chiellini. Vigilie di Champions a eliminazione diretta, escludendo le finali che sono un’altra cosa ancora. Le ha vissute sapendo di giocare o di dover guardare i compagni, da quando poco più che ventenne cercava di farsi spazio nella Juventus stellare di Fabio Capello al 6 agosto scorso, quando ancora alle prese con i vari acciacchi lasciati dall’infortunio al ginocchio destro, sapeva che non avrebbe potuto provare a spingere più avanti la Juventus che stava per non essere più di Maurizio Sarri.
Ne ha vissute altre trentaquattro e alla trentacinquesima, senza trascurare l’imprevedibilità della Champions League, annusa un’aria che gli piace: «C’è una sensazione buona e lo spirito, le vibrazioni, sono giusti: non vediamo l’ora di scendere in campo». Il ko in campionato contro il Napoli è già dimenticato. «Arriviamo da un periodo molto positivo, la partita di sabato non ci scalfisce. Il campionato è ancora lungo e dobbiamo distingurere le competizioni. Ora inizia un altro grande obiettivo, ci arriviamo con grande entusiasmo e voglia di fare bene. Per fortuna tanti di noi sono esperti e anche se alcuni non hanno giocato molte partite così, domani (oggi, ndr) andremo a lavorare anche sull’aspetto piu emotivo. Dobbiamo evitare di sbagliare partita come negli ultimi due anni agli ottavi, quando siamo riusciti a rimediare con l’Atletico ma non con il Lione. Devono servirci da insegnamento e mi auguro e sono convinto che contro il Porto faremo una partita diversa».
Diversa sarà di sicuro la coppia al centro della difesa. Perché per la prima volta in Champions League (e per la terza in assoluto) giocheranno dall’inizio Chiellini e De Ligt. Il più vecchio e il più giovane di un pacchetto di centrali senza eguali in Europa. «Siamo quattro difensori centrali credo tra i primi 20 – afferma senza falsa modestia il capitano bianconero -. Sulle rotazioni sono cavoli del mister», sorride. Su come reagire alle rotazioni, però, parla da capitano: «Dovremo essere sempre pronti e sapere che ci gireranno le scatole, ma due su quattro andranno in panchina. Consapevoli che alla fine a vincere è la squadra. Pian piano dobbiamo trovare la giusta conoscenza e i giusti automatismi in allenamento e in partita: ti permette di rubare dei tempi di gioco e migliorare i piccoli dettagli. Con Matthijs anche se abbiamo giocato poco ormai mi alleno da un anno e lo conosco molto meglio, lo stesso vale per Demiral. Leo (Bonucci, ndr) dopo dieci anni ormai penso di conoscerlo più di mia moglie…». Dieci anni no, ma visto come sta giocando qualcuno comincia a chiedersi se non potrebbe prolungare di un’altra stagione anche la conoscenza con De Ligt e Demiral: «Penso al quotidiano e tocco ferro. Ogni volta che ho guardato più in là del mio naso, come si dice anche se il mio naso è grande, ho sempre sbagliato e mi sono sempre fermato. Vivo il quotidiano con entusiasmo cercando di fare il massimo». Per viverne intanto almeno altre quattro, oltre a quella sicura del ritorno, di vigilie così. Poi si vedrà.
Sbarcando oggi a Oporto, la Juventus si presenta nella città dove sorge il quartier generale del cosiddetto Impero Mendes, la sede dell’agenzia Gestifute di cui Cristiano Ronaldo è ovviamente il giocatore di punta, iperstellare, e il suo procuratore Jorge Mendes è il fondatore nonché “presidentissimo”. Tutto nacque nel 1996 dall’idea visionaria del manager lusitano, allora trentenne, di creare una società d’intermediazioni calcistiche. All’inizio l’ufficio era costituito da un monolocale in affitto con un solo apparecchio che inglobava telefono fisso, fax e stampante. Un ventennio dopo la Gestifute è l’agenzia numero uno nel mondo del calcio, capace di produrre un vorticoso giro d’affari multimilionari. Costantemente ai vertici assoluti nelle classifiche dei fatturati legati ai campioni dello sport (fra gli assistiti figurano anche tennisti, ciclisti, cestisti, hockeysti). Secondo l’autorevole rivista economica americana Forbes, Mendes se la gioca con il californiano Scott Boras, procuratore delle stelle della MLB, il baseball targato USA.
L’attuale sede della Gestifute è al 17° e ultimo livello della Torre Burgo (Edifício San José), uno dei grattacieli più alti di Oporto. Sorge nell’elegante Avenida da Boavista (lo stadio Do Bessa dell’omonima squadra “scacchista” è a poche centinaia di metri). Gli uffici occupano a 360 gradi l’intero piano. Quello di Mendes – immenso, tutto hi-tech, dominato dai colori nero e acciaio – si affaccia nell’angolo destro opposto all’ingresso da cui si gode una vista mozzafiato sulla foce del Douro, dove il fiume si getta nell’Oceano Atlantico. La prima impressione, varcando la soglia, è di essere in uno show room. Di calcio. Un maxischermo posto verticalmente trasmette 24 ore su 24 immagini dei campioni facenti parte della scuderia. Video di partite, di gol, di esultanze, ma anche di premiazioni, cerimonie, feste, momenti speciali in cui sono coinvolti i “Mendes Boys”. Su un lato dei corridoi interni, vetrine illuminate con i manichini su cui sono posti i completi ufficiali (maglie, calzoncini, calzettoni) e relative scarpe dei singoli calciatori. I più importanti, naturalmente. Poi poster autografati degli stessi assi con dedica speciale per Jorge. E le Coppe, i trofei, le targhe, i palloni. Guanti e berretti per i portieri. Un museo del calcio internazionale. Dall’altro lato dei corridoi, centinaia di foto che ritraggono i momenti salienti della carriera di Mendes. A cominciare dalle storiche firme di CR7 per il Manchester United con Sir Alex Ferguson, per il Real Madrid con Florentino Pérez e per la Juventus con Andrea Agnelli a Messinia, in Grecia. E poi quelle dei vari Mourinho, Falcao, Diego Costa, Di María, James Rodríguez, João Félix, Bernardo Silva, Renato Sanches, Semedo, Moutinho, André Silva, Diogo Jota, Éderson, Cancelo, gli altri allenatori Nuno, Jardim, Lage e così via.
La vita (spericolata) di Jorge è una storia da film. Una storia straordinaria di un uomo straordinario. In grado di compiere “missioni impossibili”. Non a caso è stato votato Agente del Secolo lo scorso fine dicembre a Dubai nel corso della cerimonia degli Awards di Globe Soccer. E due settimane prima aveva ricevuto da Tuttosport, in occasione della serata di gala del Golden Boy 2020, la Targa Xico Ferreira quale procuratore del millennio, in riferimento ai primi vent’anni del terzo millennio nel corso dei quali ha sbaragliato la concorrenza collezionando centinaia di operazioni. Alcune assolutamente strabilianti: CR7 alla Juve nell’estate 2018 è stato definito dai media italiani (e non solo) il Colpo del secolo.
«Nonostante il Covid abbia penalizzato tutti – argomenta l’azzimato superagente nativo di Lisbona – lo scorso anno ho svolto come sempre la mia parte. Tra Bruno Fernandes al Manchester United (80 milioni, ndc), Rúben Dias al Manchester City (71,6 milioni), Carlos Vinícius (48) e Doherty (15) al Tottenham, Diogo Jota al Liverpool (45), Semedo (40), Fábio Silva (40) e Vitinha (20) al Wolverhampton, Trincão al Barcellona (31), Rodrigo al Leeds (30), Rúben Vinagre all’Olympiakos (25), Danilo Pereira al Paris Saint-Germain (24), Todibo (22) e Otamendi (15) al Benfica, Acuña al Siviglia (10,5), Evanilson (7,5) e Zaidu (4) al Porto, Pote allo Sporting Lisbona (6,5), più altri trasferimenti minori, abbiamo sfondato il tetto del mezzo miliardo di euro come volume d’affari considerando i prezzi pagati per i cartellini, i bonus e il valore degli obblighi od opzioni di riscatto per coloro che sono stati ceduti in prestito. Credo non bastino le operazioni complessive annuali totalizzate da due o tre agenti insieme per avvicinare il nostro fatturato». Forse anche quello di 5 o 6 procuratori, aggiungiamo noi.
Jorge si avvale sostanzialmente di 4 stretti collaboratori in cui ripone la massima fiducia: João Camacho (nativo di Madeira come CR7 ed ex segretario tecnico del Marítimo Funchal), Valdir Cardoso (ex laterale di Sporting Lisbona, Estrela Amadora e Standard Liegi), il nipote Luis Correia (che si occupa in primis di marketing e contratti pubblicitari) nonché Luis Alberto (suo ex socio quando aprirono insieme una videoteca e grande esperto di calcio giovanile). Da qualche tempo ha “abbracciato” anche l’agente Jorge Pires, mentre per quanto concerne i diritti d’immagine e sponsorizzazioni assortite c’è la Polaris Sport, emanazione diretta della Gestifute (stessa sede), diretta dalla 42enne manager Bárbara Vara, figlia di Armando, ex ministro e segretario di Stato portoghese.