La pressione dei social media e dei “mi piace”, diventati ormai un’ossessione, l’hanno portata a compiere un gesto tragico. Chloe Davison aveva solo 19 anni, ma si è tolta la vita perché «pensava di non essere a posto a meno che non prendesse likes alle sue foto». Lo ha rivelato sua sorella Jade, di un anno più grande. Lo scorso 20 dicembre i familiari hanno trovato il corpo senza vita di Chloe nella loro casa nella contea di Durham (Inghilterra).
Chloe voleva fare l’infermiera, ha raccontato la sorella maggiore ai media locali, puntando il dito contro i social che secondo lei «hanno giocato un grosso ruolo nella sua morte». «Sono devastata. Non ho nemmeno le parole per descrivere questo dolore. Solo nove settimane fa sono diventata una mamma e Chloe adorava la mia bambina. Era la mia migliore amica e non so cosa farò senza di lei».
Secondo la sorella, i social media hanno influito enormemente sul suo suicidio, perché offrono con troppa facilità a chiunque l’opportunità di scrivere commenti offensivi senza pagarne le conseguenze. «Diverse notti la trovavo in lacrime perché qualcuno le aveva scritto cose orribili. Ma lei non vedeva quello che vedevamo noi di famiglia. Era bellissima sia dentro che fuori.
Secondo quanto dichiara il quotidiano britannico The Sun, nel Regno Unito viene commesso un suicidio ogni 90 minuti. E colpisce persone di ogni provenienza sociale, dal senzatetto al dottore, dal disoccupato al calciatore e alla celebrità. Il suicidio rappresenta inoltre la principale causa di morte per le persone sotto i 35 anni, più del cancro e degli incidenti stradali. Eppure, denuncia il giornale, è ancora un tabù, se ne parla troppo raramente.