Aver superato le terribili prove vissute nei campi di lavoro e di “rieducazione” cinesi evidentemente rende talmente forti da poter persino sconfiggere il temibile coronavirus. È successo a un vescovo quasi centenario, la cui storia sta commuovendo e anche dando conforto alla Cina sotto attacco del virus.
Cronache da un mondo ormai separato, stravolto, percorso da violenze e silenzi. Ma anche da coraggio ed eroismo. Come quello di numerosi medici e infermieri che curano e non lasciano i loro pazienti- contagiati, sfidando e spesso subendo la morte. Storie al limite del miracoloso, come appunto quella di monsignor Joseph Zhu Baoyu, vescovo di Nauyong, 98 anni, una tenacia e una tempra d’acciaio, affidati al fuoco della fede.
Il vescovo non ha voluto lasciare la sua casa e i suoi doveri, anche se ormai vive ritirato, nonostante l’infuriare dell’epidemia. Il calvario del vescovo è cominciato il 3 febbraio scorso, giorno in cui gli viene diagnosticata la positività al virus. Ma appena dieci giorni dopo si è scoperto che i suoi polmoni erano perfettamente guariti. Monsignor Zhou, inoltre, soffre di altre patologie ed è guarito grazie a un catetere di drenaggio toracico.
I medici e gli specialisti ritengono che il suo caso sia eccezionale, visto che il virus è doppiamente letale per gli anziani e per chi ha già un quadro clinico compromesso. Ma bisogna considerare di quale stoffa sono fatti il fisico e lo spirito dell’uomo di Chiesa, ordinato vescovo nel 1995. Perché appunto ha dovuto sopportare duri anni di prigionia e di “rieducazione”, condividendo questo destino con una ventina di sacerdoti e centinaia di suore. Oggi la sua vicenda ha commosso la Cina, nonostante le condanne passate, ed è diventata addirittura esemplare. Mostra un volto diverso dei tempi del virus, oltre la paura e le menzogne. La sua piccola sagoma di uomo curvo per il peso degli anni e delle traversie, dal viso rugoso ma sorridente, è simbolo di qualcosa che resiste, che non si piega, sorretta da una forza inestinguibile.
Intanto si moltiplicano le testimonianze di sacerdoti e missionari che raccontano di caos e panico serpeggiante. Perché i numeri diffusi da fonti ufficiali sono considerati falsati, che il virus sia molto più diffuso di quanto sia ammesso pubblicamente e anche le vittime siano più numerose. Del resto, le accuse rimbalzano da una forte ad un’altra, come la TV satellitare coreana Arirang Tv, secondo la quale il coronavirus avrebbe preso vita innanzitutto dal laboratorio che si trova nei, pressi del mercato del pesce di Wuhan.
E questo rimanda a un libro-profezia, The eyes ofdarkness, thriller scritto nel 1981 dal romanziere Usa Dean Koontz. Che descrive appunto la diffusione in Cina di un virus killer creato innanzitutto laboratorio di Wuhan. Inquietante analogia.
Le chiese cercano di organizzarsi, con collette, soprattutto a favore della regione di Wuhan, linee guida per la pulizia degli edifici religiosi, le celebrazioni delle messe e la distribuzione dell’Eucaristia. Tramite i social si creano gruppi di preghiera, sfidando i divieti pubblici, in particolare rivolgendosi a San Rocco, che tradizionalmente è il santo protettore contro la peste e dunque, in generale, contro le epidemie.
Le notizie parlano di ormai oltre duemila morti in Cina, per la precisione 2004, mentre i contagiati sono in totale 74.185 e 14.376 i pazienti dimessi dopo un ricovero per Covid-19, il nome tecnico del virus. Circola comunque un certo ottimismo, confermato dalle dichiarazioni diffuse dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che parla di «enormi, progressi» compiuti nella gestione dell’epidemia, progressi compiuti in breve tempo, come ha dichiarato Richard Bren- nam, direttore della Preparazione alle emergenze nel Mediterraneo orientale.