Omicidio Marco Vannini, processo da rifare: si avrà davvero giustizia?

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Tutto da rifare: un fragoroso applauso ha accolto la sentenza della Cassazione che segna una svolta nel processo per la morte di Marco Vannini, il ventenne di Ladispoli deceduto a seguito di colpi di arma da fuoco, che lo hanno raggiunto in casa della fidanzata Martina Ciontoli, oggi 25 anni, la notte del 17 maggio 2015.

«Hanno restituito a mio figlio il rispetto che merita», ha commentato piangendo la mamma di Marco, Marina Conte, 55 anni, che insieme al marito Valerio Vannini, non ha mai smesso di lottare per individuare la verità su cosa fosse accaduto quella notte di quasi cinque anni fa, in casa Ciontoli. Della morte di Marco fin dall’inizio si è assunto la responsabilità colpa Antonio Ciontoli, padre di Martina ed ex maresciallo della Marina, condannato in primo grado a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, reato però che è poi stato derubricato in omicidio colposo in secondo grado, con pena ridotta a cinque anni.

In appello erano state invece confermate le pene a tre anni per la moglie dell’ex militare, Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico, mentre era stata assolta la fidanzata di quest’ultimo, Viola che pure era presente quella sera in casa Ciontoli, ma era stata rinviata a giudizio con la sola accusa di omissione di soccorso. Ciontoli puntava a un ulteriore sconto di pena, chiedendo la cancellazione dell’aggravante della “colpa cosciente”, mentre i difensori della moglie e dei figli del sottufficiale invocano l’assoluzione o in alternativa uno sconto.

Ma ora la Cassazione ha deciso che il processo è da rifare. «Nessuno mi ridarà mio figlio, ma è giusto che qualcuno paghi per la sua morte», dice Marina Conte, che abbiamo voluto intervistare.
Signora Marina, vi aspettavate questo verdetto dalla Cassazione? «Eravamo pronti a tutto, la Cassazione poteva confermare le pene in appello, o assolvere i figli e la moglie di Ciontoli, ma in cuor nostro speravamo che la Corte Suprema potesse darci giustizia e ordinare di rifare un nuovo processo. Durante la lettura della sentenza in Appello ero stata malissimo, così stavolta, alla lettura della sentenza di Cassazione, ho preferito aspettare fuori dall’aula. Fuori mi ha raggiunto mio nipote per avvertirmi e dentro di me ho urlato di gioia».

E’ una vittoria per voi questa sentenza? «Più che una vittoria, è il rispetto che si deve a Marco, un ragazzo splendido di 20 anni e con tanta voglia di vivere. Questa sentenza ha restituito a mio figlio il rispetto che merita. Mio marito Valerio mi ha detto che non mi vedeva sorridere da anni, anche lui è molto emozionato, c stata una cosa bella, in cui speravamo. Stavamo perdendo fiducia e invece ora ci è stata restituita la voglia di credere nella giustizia».

Ora ci sarà un processo d’appello bis: vi aspettate una condanna più pesante per l’intera famiglia Ciontoli? «Si, ci spero vivamente perché, come io e mio marito ripetiamo da cinque anni, hanno lasciato morire Marco. Mio figlio è morto per una lenta emorragia tra dolori e richieste d’aiuto, ha perso la vita perché non è stato immediatamente soccorso: se fosse stato portato subito in ospedale, oggi sarebbe qui con me.

Non è stato il colpo d’arma da fuoco ad uccidere mio figlio, ma la lenta agonia, il ritardo nel chiamare i soccorsi, come ha precisato il nostro avvocato di parte civile nella sua arringa il professore Franco Coppi: “Marco è stato colpito da un’arma micidiale, lo sparo gli ha trapassato cuore, polmone, e una costola, e si è fermato sotto i muscoli del torace. Il cuore di Marco ha continuato a pompare sangue fino alla fine, tanto che l’autopsia ha rilevato un’emorragia interna di sei litri di sangue: poteva salvarsi, come ha riconosciuto con onestà lo stesso consulente della difesa, Marco lanciava urla disumane, hanno detto i vicini e un’infermiera, sveniva e riapriva gli occhi: impossibile che i Ciontoli non si fossero accorti della gravità delle sue condizioni”. I Ciontoli invece, hanno pensato solo ai propri interessi, e così facendo mio figlio ha perso la vita.

Devono pagare per quello che hanno fatto a Marco, per noi tutti e quattro sono colpevoli della sua morte. Spero in una pena alta ed esemplare. Non sapremo mai, temo, come sono andati i fatti quella sera, a meno che durante l’appello bis, i Ciontoli non decidano di raccontare finalmente la verità». Ricostruiamo quella maledetta notte: come mai Marco era a casa dei Ciontoli dove è stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco? «Mio figlio era a cena a casa di Martina, come spesso capitava, erano fidanzati da tre anni. Un colpo d’arma da fuoco ha squarciato il silenzio alle 23:20, ma la prima telefonata al 118 è arrivata solo venti minuti dopo, per essere poi annullata dagli stessi Ciontoli.

L’arma da fuoco era quella di Ciontoli, regolarmente detenuta in quanto militare, ma sulla ricostruzione si sono più volte contraddetti, sostenendo cose senza senso, in particolare che Ciontoli sarebbe entrato in bagno a mostrare le pistole a mio figlio mentre lui si lavava e il colpo sarebbe partito accidentalmente. In ogni caso, è di una gravità assoluta che anche la seconda volta in cui quella notte chiamarono i soccorsi, alle 00:08, si parlò di una ferita da pettine appuntito invece di dire la verità, tanto che l’ambulanza partì con codice verde. Mio figlio è morto alle 3:10 per shock emorragico, aveva perso troppo sangue.

Mi sento male ogni volta che ci penso, immagino quanto debba aver sofferto: negli ultimi istanti di coscienza mi avrà chiamata e cercata ma io non ero lì con lui, perché i Ciontoli al telefono non mi avevano detto la verità su quanto era accaduto, né sulle sue condizioni». Lei è suo marito in questi anni vi siete sempre battuti per difendere la dignità di vostro figlio, ora potrete andare a trovarlo dicendogli giustizia è stata fatta? «Per questo dovremo aspettare la conclusione del secondo processo di appello, e dell’eventuale sentenza di condanna. Però intanto Marco sa che ci siamo strenuamente battuti per cinque anni per avere giustizia, abbiamo perso tante battaglie, ma quella più importante ad oggi 1’ abbiamo vinta».

In questi anni pensa che Marco le sia stato sempre vicino aiutandovi in questa battaglia? «Si, penso proprio che lui ci sia stato sempre vicino, senza la sua presenza non ce l’avremmo fatta da soli: è lui che ci da la forza di andare avanti ed è per lui che noi abbiamo lottato, pensando agli ultimi momenti della sua vita, quando soffriva e implorava di essere aiutato». Martina era la fidanzata, gli voleva bene, come è possibile che non abbia protetto Marco quella sera? «Non lo so. Quando li vedevo insieme, così felici, innamorati ero contenta per loro e per mio figlio. Per me e mio marito Martina era davvero come una figlia. Marco era il nostro unico figlio quindi per noi Martina era come se fosse la figlia femmina che non avevamo mai avuto. Nel corso di questi anni, però, constatando il suo comportamento, mi sono resa conto che è una ragazza anaffettiva, priva di sentimenti, egoista e distaccata, preoccupata solo di difendere la sua famiglia, e in particolare suo padre».