Si pensava che il Coronavirus sopravvivesse nell’aria soltanto per pochi minuti ma non è proprio così: si è scoperto che in laboratorio ha “resistito” per circa tre ore.
È questo il risultato dell’esperimento che hanno condotto gli scienziati del laboratorio di virologia del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, l’Istituto americano per le malattie infettive, e pubblicato sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine.
Il virus “vive” più del previsto
Come riportato da Repubblica, i nuovi dati invitano a più cautela ed una maggore attenzione: spruzzato in aerosol in condizioni di laboratorio, il Coronavirus sopravvive fino a tre ore. Tra il momento in cui viene nebulizzato e lo scadere delle tre ore, la sua quantità si riduce notevolmente fino a diventare la metà nel giro di un’ora, ma la sopravvivenza resta comunque superiore alle previsioni.
Fino a questo momento, le stime erano basate sull’esperienza di altri virus che si trasmettono da una persona all’altra a bordo di goccioline emesse respirando, parlando, tossendo o starnutendo, che decadono negli giro di pochi secondi. In ogni caso, la misura di sicurezza migliore resta di 1-1,5 metri dalle persone, portata che in genere uno starnuto o un colpo di tosse non superano.
Attenzione ai luoghi chiusi
Se, però, all’aria aperta è facile che il virus si disperda velocemente, lo stesso discorso non si può fare per un ambiente chiuso soprattutto a contatto con un positivo. “Ma in una stanza in cui resti a lungo una persona infetta, il suo respiro continua a concentrare particelle virali nell’aria. In ambienti affollati e chiusi, anche quando si rispetta la distanza di un metro, sarebbe bene aprire la finestra” spiega Carlo Federico Perno, virologo dell’università di Milano.
Sterilizzazzione negli ospedali
A maggior ragione, oltre alle dovute cautele, è importante che si operino frequenti ricambi d’aria negli ospedali, ambienti chiusi per eccellenza. È quello che sostiene Carlo Signorelli, professore di Igiene al San Raffaele di Milano, il quale si domanda se questa nuova scoperta possa avere delle implicazioni sugli impianti di aerazione degli ospedali, soprattutto quelli di vecchia data. “In ambienti dove si concentrano molti malati, potrebbe rendersi necessario sterilizzare in qualche modo l’aria che passa nei condotti, per evitare che vi si accumulino quantità di virus che possono essere rischiose”.
La teoria della Diamond Princess
Alla luce di questi risultati, l’ipotesi formulata nel caso della nave da crociera Diamond Princess, attraccata a febbraio per la quarantena a Yokohama, dove l’epidemia era dilagata a causa dei molti malati concentrati in spazi angusti potrebbe avere maggiore fondamento. “Avanzare una supposizione di questo tipo è facile, dimostrarla è molto più arduo, ma ci stiamo ponendo il problema” spiega Signorelli.
Ascensore a rischio contagio
L’attenzione per gli ambienti chiusi non vale solo per gli ospedali ma per tutte le persone che restano in casa se un membro della famiglia è positivo. E negli ascensori, dove non si dovrebbe entrare più di uno alla volta. “Altrimenti sarebbe difficile perfino rispettare la distanza di un metro”, sottolinea Signorelli.