La Federazione della stampa contro Conte: “Basta monologhi. Non può sottrarsi alle domande”

“Checché ne pensino cattivi consiglieri e improvvisati spin doctor, l’articolo 21 della Costituzione è pienamente in vigore”. A ricordarlo al governo è stata la Federazione nazionale della stampa, all’indomani del monologo social di Giuseppe Conte, fatto passare per “conferenza stampa”. Una scelta, quella del premier (o di chi per lui), che subito ha suscitato perplessità e critiche, visto che le modalità non prevedevano alcuna domanda. Dunque, non consentivano ai giornalisti di svolgere correttamente il proprio lavoro, in un momento tanto delicato per la nazione.

“I cittadini hanno il diritto di conoscere”

“La fase eccezionale che vive il Paese non può diventare il pretesto per impedire ai giornalisti di fare il loro lavoro e di rivolgere domande. Chi ha responsabilità di governo, a tutti i livelli, ha il dovere di rispondere alle domande dei giornalisti perché i cittadini hanno il diritto di conoscere“, hanno ricordato il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. “La sospensione temporanea di diritti e libertà democratiche in nome del bene supremo della s alute non può giustificare in alcun modo la cancellazione del diritto di cronaca e della libertà di espressione. L’articolo 21 della Costituzione – hanno ricordato i vertici della Fnsi – è pienamente in vigore, checché ne pensino cattivi consiglieri e improvvisati spin doctor”.

Conte non può evitare al contraddittorio con la stampa

“L’unità di intenti che viene richiesta a tutto il Paese in queste ore impone a tutti di fare il proprio dovere. Per questa ragione come richiesto dalla Stampa parlamentare, è necessario che, anche nelle comunicazioni formali di provvedimenti destinati a produrre effetti per la collettività, non venga mai meno il contraddittorio con i giornalisti“, hanno concluso Giulietti e Lorusso, chiedendo che anche i giornalisti, a loro volta “in prima linea” per informare i cittadini, siano riconosciuti come “categoria a rischio”.