La fine della quarantena, se non capitano cataclismi, pare ormai vicina. Il 4 maggio, il premier Cinte ce l’ha promesso, molti vincoli saranno allentati, diverse fabbriche torneranno ad aprire, parecchie attività torneranno a funzionare. Non sarà la “normalità”, si andrà per gradi per evitare un ritorno di fiamma dell’epidemia, ma il piano per la “ripartenza” è ormai ben tracciato. Se tutto andrà bene, anche bar e ristoranti potranno aprire entro fine maggio. Sappiamo che per un certo periodo di tempo, forse lungo, dovremo convivere con il virus, e con scomode mascherine, facendo a gara a evitarci per strada per mantenere il “distanziamento sociale”, ma siamo pronti anche a questo: ci faremo coraggio e ci riusciremo .
In tutto questo però c’è un settore che sembra completamente dimenticato, ed è probabilmente quello che sta vivendo la crisi più terribile. Un settore che ci è caro, perché su di esso si fondano buona parte dei contenuti di questo giornale, e di tanti altri. Parliamo, come avrete capito, dello spettacolo: la televisione, il cinema, il teatro, la musica, e più in generale 1 ’ intrattenimento. Forse ci siamo distratti, ma nei piani governativi non ci è parso di vedere nemmeno citati questi settori, che sono i più penalizzati dalla presenza persistente del virus, perché si fondano e prosperano sul contatto tra le persone, tra gli attori in scena o sul set, in primo luogo, e poi nel rapporto tra gli attori e il pubblico.
In queste settimane sono stati fatti tentativi generosi di realizzare spettacoli “in smart working” (di uno di questi, protagonista Kaspar Capparoni, parliamo a pagina 30), ma non è la stessa cosa, impossibile negarlo. Immaginiamo già di vedere qualcuno con il ditino alzato a spiegarci: «Ci sono cose ben più importanti di cinema e teatri, le star guadagneranno qualcosina di meno, ebbene?». Per carità, cose più importanti ce ne sono senz’altro, non discutiamo: le acciaierie, le industrie metalmeccaniche, le auto e la moda e così via. Ma l’intrattenimento non è un lusso, non è qualcosa di cui si può fare a meno a cuor leggero: i film, le fiction, gli spettacoli, le canzoni sono il modo con cui la società riflette su se stessa e si descrive, ridendo, piangendo, magari fermando- V si un attimo a pensare. E un carburante essenziale del nostro vivere in comunità, del ritrovarci attorno a emozioni condivise , che ci impedisce di restare sempre rinchiusi nel fortino della nostra individualità, tanto più in tempi di “distanziamento sociale”. Non c’è civiltà umana che non abbia forme di intrattenimento, più o meno sofisticate.
Nell’antica Grecia il teatro, sia tragico che comico, era quasi un rito religioso, e non se ne faceva a meno nemmeno nei momenti più critici. Perfino durante le ultime Guerre mondiali cinema e teatri erano sempre affollati, e non si contano gli attori, come Totò, Fabrizi, Anna Magnani, che si esibivano nelle loro macchiette d’avanspettacolo in città devastate dai bombardamenti, o messe in pericolo dalle rappresaglie dei tedeschi. «Lo spettacolo deve continuare» è un detto di antica saggezza, che significa che la società non può mai chiudersi a riccio, annullare la sua vitalità senza avere la possibilità di respirare, di svagarsi, di ritrovarsi attorno a un rito collettivo che susciti emozioni.
E se non vogliamo vederla dal punto di vista 4‘filosofico”, vediamola da quello pratico. La sospensione di tutti i set, cinematografici e televisivi (nello specifico, parliamo a pagina 38 di come si stanno organizzando le soap) dà qualche disagio agli attori famosi, da copertina. Ma rischia di mettere letteralmente sul lastrico migliaia, anzi centinaia di migliaia di persone che intorno allo spettacolo lavorano. Ne faceva l’elenco sul nostro giornale, due settimane fa Gianmarco Tognazzi: macchinisti, attrezzisti, operatori, truccatori, parrucchieri, comparse, attori magari bravissimi ma che ancora campano a fatica di piccole parti. Professionalità talvolta eccellenti che rischiano di essere spazzato via con le loro famiglie.
Non hanno aiutato nemmeno alcune scelte televisive, talvolta discutibili. Era proprio necessario sospendere i quiz come Soliti ignoti, Avanti un altro! o Leredita! Non c’era modo di conciliare questi programmi con l’esigenza di distanziamento sociale? A fronte dell’alluvione di talk show e programmi d’informazione, spesso tutti uguali e ossessivamente incentrati su un unico argomento, era davvero necessario affrettarsi a togliere dal palinsesto quasi tutte le trasmissioni che avrebbero portato un filo di buon umore e di serenità in giorni tanto diffìcili, e sostituirle, nel migliore dei casi, con repliche Ed è stata proprio una scelta così saggia quella di Mediaset di rinviare la messa in onda di fiction importanti, come Made in Italy con Margherita Buy e Greta Ferro e Mare fuori con Carolina Crescentini? Sembra quasi celarsi, dietro tali decisioni, l’idea che distrarsi un po’ in tempo di brutte notizie sia una colpa da espiare.
E invece è vero il contrario: è necessario, per resistere, per affrontare meglio le difficoltà. Insomma, l’intrattenimento va salvato, e chi ha il compito di prendere decisioni deve farsi carico dell’esigenza di far ripartire il prima possibile fiction, film, concerti. E lo stesso devono fare i grandi network televisivi, Rai e Mediaset. Certo, non sarà facile, se si dovrà tenere a bada il virus. L’idea di programmi come Ballando con i partecipanti in mascherina, o di “talent” privi di pubblico non è particolarmente suggestiva, Sarà tutto molto diffìcile, molto complicato. Ma è urgente, urgente almeno quanto tutto il resto. Lo spettacolo deve continuare, se vogliamo che la vita continui davvero. Altrimenti la “normalità” dei prossimi mesi sarà solo una finzione.