Antonio Zequila, tutti lo vogliono come gigolò

Questo articolo in breve

La vita me la sono goduta, tanto che credo di averne vissute almeno 8. Ma anche io, in 56 anni, ho avuto le mie docce fredde. Sono partito dal basso, mangiando la polvere del palcoscenico, per poi raggiungere con fatica le vette più alte. La mia carriera, del resto, è stata sempre un sali e scendi continuo e mai nessuno mi ha regalato nulla. Ho guadagnato tanto, tantissimo, ma in certi momenti anche il minimo sindacale. Ricordo tournée teatrali dove, con 100-120 mila lire al giorno, dovevo pagarmi anche vitto e alloggio, eppure non ne ho mai fatto un problema. Col denaro ho sempre avuto un rapporto piuttosto strano.

Non ho mai pensato al domani, al futuro, e ho vissuto tutta la mia vita alla giornata. Ricordo che, all’apice del successo, ho sperperato più di 200 mila euro in automobili e di essere rimasto col sedere a terra, poco dopo, per non aver saputo amministrare al meglio le finanze. In momenti neri, quando non sapevo più dove sbattere la testa, ho venduto una macchina importante e un orologio di valore al quale ero molto affezionato, ma una cosa è certa: non ho mai venduto il mio corpo. Qualcuno, negli anni, si è divertito a dipingermi e ad associarmi al mondo dei gigolò. Stronzate. L’ho fatto per fiction, ma non nella realtà.

Nella soap CentoVetrine gestivo un’attività dove affittavo, per notti di passione, aitanti giovanotti a donne sole e annoiate della Torino bene. Stop. Il resto sono solo calunnie. Amo le donne, il sesso, la passione, ma detesto il compromesso. Nella mia vita non ne ho mai accettato uno. Eppure di proposte me ne sono arrivate tante. Se le avessi accettate forse avrei fatto qualcosina in più, ma il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto. Già agli inizi della mia carriera, quando recitavo nella pièce teatrale Storie di ordinaria follia, di Charles Bukowski, ricordo che la critica faceva a gara per recensirmi. Tanti per studiarmi, molti per vedermi nudo in scena.

Le mie misure “intime”, circa 23 centimetri, hanno sempre fatto parlare. Anche la famosa pornostar Milly d’Abbraccio, con la quale ho avuto una lunga e intensa storia d’amore, in una recente intervista ha dichiarato: «Zequila è meglio di Rocco Siffredi!». Io e lei ci eravamo conosciuti nel 1988 al Maurizio Costanzo Show. Ricordo perfettamente che mentre stava andando al bagno l’ho seguita per chiederle il numero di telefono. E da quell’incontro non ci siamo più separati per molto tempo. Mi sono occupato di lei e di Mattia, il suo primogenito, per diversi anni. L’ho fatto con piacere anche perché, in quel periodo, me la cavavo piuttosto bene: di giorno giravo la serie televisiva College e la sera recitavo nei teatri di tutta Italia. La nostra storia è finita, a detta sua, perché ero troppo concentrato sulla carriera. Possibile.

Lei, ai tempi, non era ancora quella che poi sarebbe diventata, star indiscussa dell’hard, tanto che non troppi anni dopo mi fece contattare da un noto produttore per girare un film porno. Mi propose ben 500 milioni delle vecchie lire. Una cifra mai vista prima. Rilanciai per un miliardo convinto, in cuor mio, che avrebbe accettato, ma così non è stato. A volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita, oggi, se ai tempi avessi detto “sì” quella proposta. Magari sarebbe stato il trampolino di lancio, oppure no, ma inutile starci a pensare: non si può fare del passato un presente che non sarà mai futuro. Eppure, nonostante quel “no”, sul web c’è un articolo de Il Corriere della Sera che mi associa a pellicole vietate ai minori. Ho fatto dei film erotici, una ventina, tutti low budget, ma che non hanno nulla a che vedere con il mondo del porno.

E pensare che per aver girato, nel 1995, Senso proibito, in Corea sono ancora oggi una star. In quella pellicola interpretavo un fotografo che sognava di fare il regista e che, tra uno scatto e l’altro, si divertiva con le sue modelle. Per ogni film girato portavo a casa non meno di 10-15 milioni di vecchie lire e, quasi sempre, un flirt con una delle protagoniste. Le richieste più assurde che ho collezionato negli anni sono arrivate principalmente dagli uomini. Le donne sono meno dirette, fatta eccezione per la bellissima Amanda Lear che, nel primissimo incontro, quando non ero nemmeno famoso, ha bypassato i convenevoli e mi ha aperto la porta nella sua camera da letto, indossando solo da un accappatoio bianco che non lasciava molto all’immaginazione. Ricordo che dall’imbarazzo per la sua intraprendenza, tergiversai e me ne andai.

Era affascinante e in pochi avrebbero resistito, ma è stata così diretta da infastidirmi. L’ho rivista molti anni dopo e devo dire che non era cambiata di una virgola: anziché dirmi il classico “piacere”, mi ha messo una mano sul “pacco”. Tornando alle richieste, le più eleganti sono arrivate dal regista Memè Perlini. Mi amava sotto ogni punto di vista, non posso negarlo, ma mai si è spinto oltre, mentre la più bizzarra è arrivata da uno stilista. Una vera eccellenza italiana. Mi aveva cercato per una campagna pubblicitaria e, per concludere l’affare, aveva organizzato una vacanza, sulla sua barca, assieme ad amici comuni e a Sharon Stone. Lo stilista sapeva perfettamente della mia passione per l’attrice americana, che avevo conosciuto, tra l’altro, poco tempo prima all’Hotel Ritz di Parigi. Inutile svelare che in quella barca c’era chiunque, tranne lei. Per sopperire alla sua assenza ricordo che il signore in questione si fece trovare in cabina, travestito da donna, con tacchi e calze a rete, e mi disse: «I’m your Sharon Stone.». Sono tornato da quella vacanza con l’amaro in bocca. L’ennesimo. Tanto che, nei giorni a seguire, ho iniziato a sognare una vita ordinaria, classica. Stavo per lasciare tutto. Poi il miracolo di San Gaspare… P.S. Nello scorso numero ho scritto “il compianto Alberto Tarallo” . In realtà Alberto è vivo e in ottima forma. Mi scuso, scherzi dell’età che avanza».