Èin gran forma Renato Zero. Per festeggiare i suoi primi 70 anni, che compie il 30 settembre, ha deciso di fare quello che ha sempre fatto: non passare inosservato.
Ecco allora “Zerosettanta”, un progetto discografico ambizioso e monumentale, una trilogia di inediti in uscita proprio il 30 di ogni mese, a settembre, ottobre e novembre.
Quaranta canzoni ispirate, ricche di attenzione alla parte musicale e collaborazioni importanti: dalla produzione e dagli arrangiamenti di Phil Palmer e Alan Clark alla presenza di musicisti italiani del calibro di Fabrizio Bosso e Gianluca Littera.
«Spero che mi si riconosca il merito di non annoiare, di non proporre sempre la solita solfa » ci spiega Renato. «Credo che ci voglia anche la furbizia di analizzarsi, di buttare via roba, se è il caso.
Nella lavorazione di questo disco ho buttato nel cestino tante canzoni che potevano pure andare, ma delle quali non ero contento. Bisogna avere questa capacità di accettare che non tutto quello che fai serve».
Come si sente il settantenne Renato Zero? «Quando arrivano i 70 anni e tu stai alla fermata, prendi l’autobus con più disinvoltura, nel senso che non stai a pensare dove ti porta.
Ci vai, ci monti sopra e continui ’sto viaggio. I 70 anni sono l’opportunità migliore di raccontare se stessi. Per poter fare un bilancio che può servire anche a quelli che non mi hanno seguito fino a oggi, perché i settantenni che non ci sono arrivati così in buona salute o non hanno realizzato i propri sogni possono avere il conforto di sapere da me che, malgrado io sia Renato Zero, abbia venduto i dischi e abbia fatto delle cose, ho sofferto come loro e continuerò a soffrire come loro perché non ho accettato supinamente il valore del denaro e del successo.
Il successo è l’evento più infausto e bugiardo che possa accadere a un essere umano. Gestirlo è complicatissimo, mette in crisi gli amici e forse non te ne crea di nuovi. È na jettatura, ’sto successo…». Quando ha capito di essere diventato Renato Zero? «Io non l’ho capito.
Questa è la forza di tutto. Ho cominciato che a vedermi c’erano tre gatti, poi quattro, poi 20, poi 100, poi 10 mila, poi 70 mila all’Olimpico, è stata una cosa progressiva magnifica. Questo mi ha aiutato ad assimilare quella patologia che è il successo, prenderne coscienza e mettere in pratica una terapia». Nel nuovo disco c’è un brano che s’intitola “Innamorato di me”.
«Sì, perché noi spesso ci trascuriae traccia con Sorrisi un bilancio della sua straordinaria carriera mo, molti non ci tengono, fanno finta di non conoscersi. Io, invece, mi compiaccio di come sono. Fra me e me c’è questa complicità bella, capito? Non ci siamo mai mandati a quel paese e abbiamo sempre condiviso tutto». Ha mollato presto gli studi.
Quali sono stati i suoi riferimenti culturali? «Amavo molto Oscar Wilde, Byron, questi inglesi che avevano una mentalità così rivoluzionaria. E in Italia Pasolini, che avrei potuto incontrare, solo che i miei amici, molto protettivi, mi sconsigliarono di farlo dicendo che ero troppo giovane per reggere una personalità come quella.
Quando compresi che mi stavo perdendo un’occasione d’oro e decisi d’incontrarlo lui purtroppo fu assassinato. Un altro incontro che avrei desiderato, e ti sembrerà strano, era quello con Andreotti». Ammetto che non me l’aspettavo. «Chiamò mia sorella dicendole che mi voleva incontrare e che gli sarebbe piaciuto scambiare con me dei pensieri. Accettai immediatamente, perché m’incuriosiva questa sua romanità colta.
Vestita di potere. Perché la romanità viene sempre rappresentata come povera: quando uno pensa a un romano lo vede disgraziato, che sta lì sulla sedia di vimini che piagne, che dice qui non succede mai niente, ’n se magna niente… Nell’immaginario il romano non possiede charme e carisma. Quindi vedere uno che arriva a quei livelli e si difende in quel modo mi attraeva.
Purtroppo anche lì… sta str***a della morte arriva sempre al momento sbagliato». C’è mai stato un momento in cui ha pensato che la sua favola fosse arrivata al capolinea? «Sì, nel 1981, quando durante un concerto al Castello Sforzesco di Milano ci fu un crollo e una mia fan cadde e morì. Titolarono: “Renato Zero canta, Tiziana Canesi muore”.
Fu un momento terribile: quella povera ragazza era una mia fan, ma non ero io che avevo fatto entrare 15 mila persone in un posto che ne conteneva tremila. Fu facile infierire contro uno come me, che parlava troppo, che nei concerti metteva a nudo la realtà del Paese, che nelle canzoni puntava il dito. Per questo oggi sono tranquillo, ben contento di trovarmi a fare quello che faccio, professare un pensiero positivo, una filosofia di vita. Non mi sento un cantante. Quella parola mi fa pensare al paese, la fiera, lo zucchero filato. Tutto pittoresco, ma lontano da ciò che sono».
Chi è Renato Zero: età, carriera, amori, vita privata del cantante romano vera e propria icona della musica italiana e culto per i suoi “sorcini”.
Renato Zero, pseudonimo di Renato Fiacchini, nasce a Roma nel 1950. Il giovane Renato passa la sua infanzia in via Ripetta, per poi spostarsi durante gli anni dell’adolescenza nel quartiere della Montagnola. Conseguita la licenza media, Renato decide d’iscriversi all’Istituto di Stato per la cinematografia e la televisione Roberto Rossellini. La sua carriera scolastica è stabile, non sarà infatti il suo rendimento a portare l’allontanamenti di Zero dai banchi di scuola, bensì la sua più grande passione: la musica.
Renato Zero, gli esordi e il successo
Il primo esordio canoro del giovane cantante romano avviene nel 1968. Renato si esibisce infatti in un festival locale, al fianco di future stelle come Loredana Bertè. La genesi del personaggio di Renato Zero, quell’impronta forte e trasgressiva che lo renderà celebre in tutto il paese, avviene però successivamente con il suo quarto album: Zerofobia. I brani presentati nel disco sono volutamente trasgressivi, alla perenne ricerca del nuovo nella musica nazionale. Si comincia anche a creare una fascia di fedelissimi – prima chiamata zerofolli, poi sorcini – che dagli anni Ottanta sostengono e ammirano le gesta del singolare cantante italiano. Saranno infatti gli anni Ottanta a portare Renato nell’olimpo dei cantanti, contraddistinto da una voce limpida e prorompente Zero diventerà un simbolo nazionale. Dopo un periodo di silenzio – dovuto a diversi problemi del cantante romano, perso in un dissidio artistico – Renato rinasce negli anni Duemila, portando album incredibili come Tutti gli Zeri del mondo (2000), Alt (2016) e il suo nuovo album Zero il Folle (2019). Renato diventa così una delle voci più celebri sul territorio nazionale. Qui di seguito il videoclip di uno dei suoi ultimi brani, Mai più da soli.
La vita privata
Per i comportamenti ed i travestimenti, Zero è stato spesso inteso come omossessuale: il cantante non si è mai espresso in merito, sottolineando alle volte nei suoi brani la sua eterosessualità. Le relazioni conosciute di Renato risalgono alla sua segretaria Lucy Morante ed Enrica Binaccorti. Nel 2003 Zero ha adottato un figlio, Roberto Anselmi Fiacchini, che lo ha reso nonno di due nipoti: Ada e Virginia. Nel 1993 Renato è stato la voce di Jack Skeletron, il gotico protagonista di The Nightmare Before Christmas, dimostrando una capacità attoriale non indifferente.