Dall’infanzia, Tra bandiere rosse e acquasantiere, al successo. Orietta Berti si è raccontata in un libro autobiografico che rivela degli aspetti del suo passato inediti e decisamente inaspettati.
Se oggi colleziona bambole, da bambina era un maschiaccio. Incredibile a dirsi, eppure vero. «Nella mia compagnia c’erano poche bambine e io cercavo di emulare i maschietti, più intraprendenti e vivaci». La sua femminilità però emerge all’età di dieci anni quando, da vera ribelle, decide di tagliare le lunghe trecce per farsi un caschetto alla Audrey Hepburn, seguendo l’esempio di sua cugina Ombretta. «I miei genitori non volevano.
Nemmeno le nonne ma io, da vera testona, ho voluto farlo. E mi sono pentita subito. Da allora prima di fare qualsiasi cosa ho imparato a chiedere consigli a tutti». Orietta, questo suo libro è un viaggio sulla macchina del tempo, che le ha permesso di ricordare il suo passato. È stato emozionante trasferire i ricordi su carta? «Molto. Anche perché mi ha permesso di condividere i momenti più spensierati e movimentati della mia vita.
Mia mamma gestiva la pesa pubblica di Cavriago e questo faceva sì che ogni giorno c’era qualcosa di nuovo da vivere: ricordo con particolare affetto quando veniva il circo e i circensi venivano da noi a prendere l’acqua. In cambio ci davano i biglietti per vedere gli spettacoli.
L’amore per gli animali l’ho rafforzato grazie a loro, che piuttosto non mangiavano per nutrire proprio gli animali». Ma come nasce l’idea di un libro autobiografico? «È stata Iva Zanicchi a chiamarmi: mi ha detto che la Rizzoli voleva che io scrivessi un libro come aveva fatto lei. Ha fatto da tramite tra me e la casa editrice e durante il lockdown,tra una passeggiata in giardino e l’altra, ho iniziato a raccontarmi».
Esistono dunque delle amicizie autentiche nel vostro mondo? «Nel nostro lavoro è difficile. Un’amicizia come quelle che ho io, che sono poi le stesse della mia infanzia, non sono mai riuscita a coltivarla, ma non certo per rivalità, per mancanza di tempo. Ci frequentiamo solo in occasione di comuni partecipazioni agli stessi programmi televisivi. Siamo tutte molto impegnate. Però ci telefoniamo: io sento spesso Ornella Vanoni, oltre ad Iva.
Spesso ci chiamiamo per sapere se siamo nella stessa puntata dello stesso programma, ma di solito registriamo in momenti diversi ed è un peccato. Così, ci aggiorniamo sulle rispettive vite al telefono». Se non avesse fatto la cantante quale sarebbe stato il suo lavoro? «Mi sarebbe piaciuto ereditare l’attività di mia mamma: la ammiravo molto.
Poi ho pensato che sarei diventata una sarta. Sa, ai miei tempi non si diceva stilista, eppure creavo modelli. Poi, spinta da un documentario, mi sono appassionata alla storia di una hostess dell’Alitalia. Anche a me sarebbe piaciuto, ma quell’idea è durata poco. È stato mio papà, che ha sempre avuto la passione della lirica, a portarmi a primi provini. Secondo lui potevo farcela ma gli esiti, almeno all’inizio, erano negativi.
Dicevano che ero stonata, che non avevo voce e che non potevo cantare. In realtà, a bloccarmi era la paura». Viene dunque da pensare che chi la bocciò, ai tempi, poi si sarà mangiato le mani. «Non lo so. Ma so che dopo cinquantacinque anni sono ancora qui. Non penso di essere stonata, sa. Anche se ho studiato tanto: mio papà ha insistito molto perché lo facessi e così ho seguito le lezioni di un maestro del Conservatorio di Reggio Emilia. La voce si è formata piano piano, ma tutt’ora la alleno».
Il suo successo, però, è dovuto anche al suo modo di fare oltre che alla voce. Soprattutto da quando ha iniziato a frequentare il mondo della televisione è diventata uno dei personaggi più amati dal pubblico non solo per le sue canzoni. «Tutto nasce dall’incontro con Giorgio Calabrese, che era un autore televisivo e di canzoni: sono stata fortunata ad averlo incrociato perché mi ha fatto entrare nel mondo della musica.
Ai tempi non esistevano i mezzi di comunicazioni che ci sono oggi: penso ai social, dove tutti possono mettersi in mostra. Lui si prese la briga di venire a parlare con i miei genitori per dirgli che mi avrebbe portato a Milano, dove avrei abitato in un pensionato di suore, per fare almeno quindici giorni di provini presso le case discografiche. E così è stato. Ma senza di lui, che si è preso cura di me, sarei rimasta nel mio piccolo paese».
Dal quale non ha mai traslocato. Lei è una diva internazionale e al tempo stesso provinciale. Perché non ha mai traslocato a Milano o magari a Roma? «Non ho mai lasciato l’Emilia perché ogni volta che tornavo mi sentivo più serena, mi passavano tutte le fatiche. E poi sa che succede? Quando si è a casa, si ha la smania di andare via.
Quando si è fuori, non si vede l’ora di tornare a casa. Qui sono cresciuti i miei figli: mia madre e mia suocera hanno seguito i miei figli, Omar e Otis. Quando ero via, sapevo che erano in buone mani. Poi ho sempre avuto tanti animali, come oggi e in un appartamento in città sarebbero stati sacrificati. Anche i miei figli, crescendo, non hanno mai avuto l’esigenza di scappare.
A loro piace proprio stare qua». Cosa fanno oggi Omar e Otis? «Casa mia è sempre stata come un albergo: sono cresciuti abituati al mio lavoro decisamente non convenzionale. E mi hanno sempre seguito. Omar non proprio a tempo pieno, perché lavora in una cantina, qui vicino casa. Ma, essendo un grande appassionato di cucina, si è molto interessato alla mia partecipazione a Masterchef.
Dopo le puntate mi confrontavo sempre con lui, che mi dava consigli preziosi. Mentre Otis mi segue come faceva mio marito Osvaldo che è stato la mia ombra fino a due o tre anni fa. Ultimamente mio marito non ha più la vista di prima, e quindi oggi tocca ad Otis, che conosce l’inglese e lo spagnolo alla perfezione e anche da un punto di vista tecnologico è molto preparato, quindi la sua presenza nel mio staff, diciamo così, è molto importante».
Tempo fa, lamentava che i suoi figli non le davano un nipotino. Ma almeno uno le ha fatto il regalo… «Un anno e mezzo fa è arrivata Olivia. È la figlia di Otis che ha voluto continuare la tradizione di famiglia dei nomi che iniziano con la O. Chi mi diceva che sarei impazzita d’amore aveva ragione: la bambina è uno spettacolo, le voglio più bene che ai miei figli. La settimana scorsa mi ha visto in Tv, ospite di Enrico Papi e mi ha riconosciuta. Che emozione!». A proposito di Tv: tornerà da Fabio Fazio a Che tempo che fa? «Magari più avanti nel corso del la stagione: lì mi sento come a casa e Fazio sa sempre farmi dire le cose come vuole lui. Mi diverto.
Per ora non posso, perché sto promuovendo il libro tra i vari programmi Tv e le librerie, per incontrare i lettori. Gli ho regalato una parte di me: spero che la apprezzeranno». Ha un desiderio da realizzare per il futuro? «A dicembre uscirà un cofanetto di sei Cd, celebrativo dei miei cinquantacinque anni di carriera. Ci sono venti brani inediti e tutti i miei successi.
Mi sarebbe piaciuto, in occasione di questa ricorrenza, avere la possibilità di fare una serata televisiva celebrativa. Finora non me l’hanno chiesto e purtroppo so che non ci sono i soldi: io lo farei anche gratis, ma vorrei che ci fossero anche tanti miei colleghi e una bella orchestra dal vivo. Magari lo realizzerò quando l’emergenza Covid sarà alle nostre spalle».
Ma lei, quando si è affacciata al mondo dello spettacolo avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivata a festeggiare ben cinquantacinque anni di carriera? «No. Pensi che mio marito Osvaldo, che lavorava in una fabbrica a Parma dove si costruivano i macchinari per preparare il cibo per bambini, nei miei primi anni di attività non ha lasciato il suo lavoro. Mi diceva che se il pubblico avesse smesso di apprezzarmi, ci saremmo mantenuti con il suo stipendio. Dopo tre anni, ha mollato per starmi accanto».