Reddito di cittadinanza, cosi non funziona

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Era settembre del 2018 quando Luigi Di Maio, allora ministro del Lavoro, annunciava trionfante: «Con questa legge di bilancio, avremo abolito la povertà». Era il primo mattone del reddito di cittadinanza. “Aiuta a formarti e a trovare lavoro”, si legge sul sito del ministero.

Ad aprile del 2019 sono iniziati i primi accrediti: da 780 euro per un single con casa in affitto a, per esempio, 1.180 euro per una famiglia di quattro persone (genitori e due figli minori), sempre in affitto. Soldi che sarebbero arrivati per 18 mesi, da allora fino alla fine di settembre, pochi giorni fa. Si può però rinnovare la richiesta: basta attendere un mese e compilare un’altra domanda per un altro anno e mezzo di sussidi, sempre in attesa del contratto di lavoro.

Ma qualcuno riesce a firmarlo il benedetto contratto? «Non ha funzionato per trovare lavoro», taglia corto con Gente Carlo Cottarelli, tra gli economisti italiani più noti a livello internazionale, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. «Ha dato del reddito, poco, a chi forse non l’aveva, le famiglie, e tanto a single che forse non erano disposti a lavorare e con il reddito lo sono stati ancora meno», aggiunge. Rincara Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre: «Ha drogato il mercato del lavoro: poteva essere più conveniente stare a casa e non accettare, per esempio, un lavoro stagionale».

Secondo Francesco Longo, docente di management pubblico e sanitario all’università Bocconi di Milano, il Reddito di cittadinanza non può essere considerato un provvedimento destinato all’inserimento nel mondo del lavoro ma una misura di contrasto alla povertà: «Eravamo il solo Paese in Europa a non avere un provvedimento del genere», dice a Gente.

E aggiunge: «È triste come in Italia non ci sia più la solidarietà che possa far dire: diamo dei soldi a chi ne ha bisogno. Abbiamo confuso una misura di contrasto alla povertà con un provvedimento di inserimento nel mondo del lavoro». Così si spiega come l’80 per cento di chi ha ricevuto il sussidio sia rimasto comunque senza lavoro.

Bisogna decidere se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Gli ultimi dati dicono che 1,1 milioni di nuclei familiari hanno beneficiato del reddito, in tutto 2,8 milioni di persone (700 mila minori). Ebbene, mentre circa un milione di questi non è stato ritenuto idoneo a lavorare, altrettanti sono stati inviati nei 556 Centri per l’impiego sparsi sulla penisola: hanno trovato i navigator, 2.846 persone assunte tra polemiche e difficoltà burocratiche varie, cui spettava il compito di aiutarli.

Risultato? In 100 mila hanno un lavoro. Maurizio Sorcioni, a capo della direzione studi e ricerche dell’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro, cui spetta il compito di coordinare il reinserimento nel mondo del lavoro e vigilare sull’erogazione dei sussidi), ritiene che sia un buon risultato: «Ricordiamo la pandemia e comunque dobbiamo considerare che il 70 per cento di loro aveva al massimo la licenza media, una platea più svantaggiata sul mercato del lavoro». Il punto è quanto “sono costati” quei 100 mila contratti.

«Gli stessi soldi investiti in asili nido avrebbero potuto dare risultati migliori. Bisogna creare le condizioni perché aumentino i posti di lavoro», ragiona Cottarelli e purtroppo, fa eco Longo, «non abbiamo politiche per il lavoro e l’industria ha bisogno di manodopera specializzata che però non trova». Quanto al fatto che pochi aspirino a diventare un tornitore o un muratore, Longo sostiene che questa sia una conseguenza dell’assenza di politiche del lavoro: «Non siamo riusciti a spiegare che è meglio lavorare piuttosto che restare a casa con un sussidio».

Non solo. Più che le storie di chi è riuscito a uscire dalla disoccupazione, abbiamo letto di chi ha chiesto, e ottenuto, il reddito di cittadinanza pur non avendone diritto. Lo avrebbe fatto Ruggero Bianchi, padre dei fratelli Gabriele e Marco accusati di aver ucciso Willy Monteiro Duarte, 21 anni, a calci e pugni nella notte del 6 settembre a Colleferro.

I due conducevano una vita da nababbi – soggiorni in alberghi di lusso, champagne e orologi da migliaia di euro ben esibiti sui loro profili social – mentre la famiglia riceveva sostegno dallo Stato. Non è il solo caso. Dall’approvazione della misura, il Reddito è stato revocato a 12 mila famiglie su 1,3 milioni di beneficiarie.

La Guardia di Finanza ha beccato detenuti, lavoratori in nero, imprenditori, proprietari di auto di lusso. Tito Boeri, ex presidente dell’Inps, l’ente chiamato a gestire il sussidio, arriva a dire che proprio all’Inps si sostenga che «la metà dei percettori siano degli evasori». Maria Sciarrino, a capo della Direzione centrale inclusione e invalidità civili, che gestisce appunto le pratiche per il Reddito di cittadinanza, assicura che «con le nuove domande aumenterà il numero di controlli immediati sulle dichiarazioni», così da ridurre le contestazioni successive.

Per esempio, l’Inps potrebbe accedere direttamente ai registri automobilistici e verificare se si possegga un’utilitaria o un lussuoso suv. Già, perché il futuro del reddito di cittadinanza passa anche da qui.

Oltre alle critiche politiche, da Giorgia Meloni («Strapagano chi sta a casa a non fare nulla») a Matteo Renzi («Basta sussidi e assistenzialismo»), c’è la bocciatura della Corte dei Conti («Risultati al di sotto delle attese») e soprattutto arriveranno le richieste dell’Unione europea: con gli stanziamenti del Recovery Fund, indispensabili per superare la crisi economica causata dalla pandemia, pretenderà da noi comportamenti più “frugali”, ad esempio rivedere il Reddito di cittadinanza. Il premier Giuseppe Conte è d’accordo e intende introdurre modifiche sostanziali, per esempio l’obbligo ad accettare un’offerta di lavoro anche se proveniente da fuori del proprio Comune di residenza, pena la perdita del sussidio. «Il sussidio per i single è tra i più alti d’Europa rispetto al reddito pro-capite, mentre il contributo è poco generoso con le famiglie», nota ancora Cottarelli.

Così com’è, quindi, il Reddito di cittadinanza non può andare avanti. «Bisogna avere il coraggio di ammettere di aver sbagliato», chiosa Longo pensando a due misure differenti: una contro la povertà, sul modello di quella attuale ma che protegga assai di più le famiglie con figli; l’altra, invece, per aiutare a entrare nel mondo del lavoro. Tutto poi dovrebbe essere gestito a livello locale: Comuni e assistenti sociali conoscono il territorio e sanno bene cosa può essere più utile a una famiglia se, per esempio, denaro contante o il pagamento dell’affitto o, invece, un aiuto per garantire l’istruzione ai figli. È d’accordo Cottarelli, che aggiunge: «Si deve coordinare la jungla delle forme di sussidio che abbiamo in Italia e ripensarle anche sulla base del costo della vita: secondo l’Istat la soglia di povertà al Sud è sotto i 520 euro al mese, al Nord sotto gli 820 euro». E le sue parole non hanno il tono della provocazione.