Guardando quanti, nonostante il timore del Covid-19, si sono affollati fuori dalla Chiesa degli artisti di Roma, poi in corteo fino al Globe Theatre, dove si è svolta una commemorazione sentita ed emozionante, si capisce perché Gigi Proietti era definito, nel mondo artistico “l’ottavo re di Roma”.
L’affetto che provava per lui chi è cresciuto con la sua comicità pulita, e chi ha assistito ai suoi spettacoli dal vivo, si è fatto sentire al momento dell’ultimo saluto. Molti, come Enrico Brignano e Paola Cortellesi, non sono riusciti a trattenere le lacrime. Altri sono arrivati nel teatro diretto da Gigi Proietti per ben 17 anni con sue foto autografate, biglietti di A me gli occhi, please, suo famosissimo spettacolo, datati 1976.
I tifosi della Roma hanno appeso in piazza del Popolo uno striscione con la scritta «Me viè da piagne, ma che sarà? Ciao Gigi, esempio di romanità». La diretta Rai delle sue esequie sulla rete nazionale è stata seguita da tutti coloro che non pensavano che un uomo tanto amabile, divertente, talentuoso, se ne andasse all’improvviso lasciandoli orfani di allegria.
Perché Gigi Proietti era sinonimo di buonumore sul palco ma anche nella vita privata, in famiglia, dove non perdeva occasione per fare battute. «Il mio è un papà fantastico», ci aveva raccontato qualche anno fa Carlotta, anche lei attrice, la secondogenita di Gigi Proietti e della compagna di una vita Sagitta Alter in occasione del suo spettacolo al Teatro Sistina di Roma Non c’è due senza te di cui il padre è stato supervisore artistico. «È simpatico, intelligente, molto sensibile, magari vedendolo sempre allegro e pronto allo scherzo non sembrerebbe, ma in realtà è sensibilissimo.
Mi piace molto averlo come papà, con me e mia sorella Susanna non è mai stato severo. Quella severa è mia madre. Mi faceva tanto ridere che quando mamma raccomandava a noi figlie allora molto giovani, per ovvie ragioni, di tornare presto la sera, mentre noi ne discutevamo animatamente, papà entrava tutto serio, ci guardava e ci gridava: mi raccomando, capiamoci, non tornate prima delle cinque.
Noi scoppiavamo a ridere, mamma si arrabbiava come una iena. Il fatto è che lui aveva capito che ormai avevamo il totale controllo del nostro rientro a casa e non voleva litigare inutilmente per questo». Peraltro non risulta che Gigi Proietti abbia mai litigato con nessuno. «Era così anche in casa. Infatti, grazie a lui, e a mamma, non siamo mai stati una famiglia in cui si alza la voce.
Mio padre se si arrabbia è soltanto perché è accaduto qualcosa di grave. Ma sono quelle arrabbiature che ti ricordi per tutta la vita e da cui impari davvero qualcosa. Geloso di noi figlie? Forse un pochino, ma non lo ha mai fatto vedere. Sono io che con il tempo ho imparato a decifrare le sue alzate di sopracciglia, certe volte pure un sopracciglio solo». Chiamarsi Proietti per Carlotta non è mai stato un problema: se all’esterno il padre era l’attore amato e apprezzato, in casa era solo papà, con abitudini un po’“strane”, ma sempre papà.
«Quando ero molto piccola sapevo di avere un’infanzia diversa da quella degli altri, ma alla fine dipende da come la prendi e io l’avevo presa bene. Ricordo che io e mia sorella la mattina, per andare a scuola, dovevamo fare pianissimo perché mamma ci diceva che papà aveva lavorato fino a tardi e doveva riposare. Se non andavamo a scuola, bisognava stare tutti in silenzio finché non usciva dalla camera da letto.
Oppure se volevi andare in giro per casa non potevi passare dal salotto perché papà stava provando. Ma erano piccole cose, a tutto questo eravamo abituate e poi, nonostante gli orari di mio padre, mangiavamo sempre insieme. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia molto unita e semplice, con valori forti e radicati». Anche se Gigi Proietti era uno degli attori teatrali più famosi d’Italia, non ha mai fatto pressione sulle figlie perché seguissero le sue orme. Alla fine, come Dna vuole, quelle orme le hanno seguite lo stesso: Susanna è costumista e scenografa, Carlotta cantante e attrice.
«Mio padre racconta sempre che all’inizio non sapeva che provavo interesse per il teatro e nemmeno che stavo prendendo lezioni di canto e di musica. Quando ha scoperto che stavo frequentando una scuola di recitazione è rimasto di stucco. Mi ha reso felice sapere che lui mi apprezzava. Lui affermava che la cosa che gli fa più piacere è sentire gli altri che gli dicono che sono brava, perché se lo diceva lui non aveva alcun valore visto che era di parte». Inevitabile che padre e figlia finissero per lavorare insieme, ma non certo perché lei si chiama “Proietti” come lui. «Figuriamoci. Posso mettere la mano sul fuoco sul fatto che mio padre non mi avrebbe raccomandato mai nemmeno sotto tortura. Le mie esperienze me le sono costruite da me, e quando ci siamo trovati sullo stesso progetto è perché ero cresciuta abbastanza per poterlo fare.
Sicuramente la sua supervisione si sente, ma lavorare con lui è stato gratificante perché c’era stima, un bello scambio di opinioni rispetto a quando ero agli inizi. Ci siamo divertiti tanto, anche perché lui aveva un senso del lavoro che io rispetto profondamente. È appagante sentire che chi ti sta insegnando sul lavoro ti vuole anche tanto bene nella vita, che ci tiene a passarti delle informazioni che non si studiano sui libri, si possono solo assorbire da chi ha tanta più esperienza di te».
Nonostante ormai abbia una vita e una carriera tutta sua, per Carlotta il padre professionalmente, e non solo, rimarrà sempre un faro insostituibile. «Essere figli di.. è un’arma a doppio taglio, ma papà mi ha sempre insegnato che bisogna accettare il pregiudizio, perché quello comunque ci sarebbe, qualsiasi lavoro avessi deciso di fare. L’importante è impegnarsi al massimo delle proprie possibilità. E io, forte di questo insegnamento, cerco di farlo sempre».