Alla fine ci è arrivato pure lui, a 70 anni. Nonostante l’ipocondria, le ansie, le paure, gli attacchi di panico che da sempre lo accompagnano, e che lo hanno reso, sono parole sue, «più esperto in medicine di un farmacista», Carlo Verdone entra nella terza età, e ci entra in perfetta forma, in buona salute, ancora all’apice della creatività, e circondato dall’amore del pubblico e dalla stima dei critici, un binomio che è davvero difficile da ottenere in vita.
Ma non è stato sempre così: a Verdone è toccata la stessa sorte di alcuni dei più grandi artisti italiani: essere presi sottogamba, solo perché facevano ridere. E Verdone ha sempre avuto questa grande dote: fare ridere riproducendo il mondo, i caratteri, i personaggi bizzarri e caricaturali che scopriva intorno a sé, girando per le vie di Roma. Di famiglia borghesissima, è però riuscito, con talento e curiosità, a dare voce anche, ma non solo, al popolino, colto nei suoi aspetti più simpatici e bonari.
Mentre spesso ha dipinto i personaggi più borghesi e intellettuali con tinte fosche e in modo quasi spietato, (ad esempio il cinico e manipolatore dottor Raniero Cotti Borroni in Viaggi di nozze, e l’ipocrita e crudele professor Callisto Cagnaro in Grande, grosso e Verdone. Il cinema era nel destino di Verdone fin dalla nascita: il padre Mario è stato infatti uno dei più importanti critici ed esperti di cinema d’Italia, fino al punto da essere inserito, con Roberto Rossellini, nella giuria del Premio Oscar.
È stato anche docente del figlio, mentre questo seguiva il corso di laurea in Lettere. Divertente il racconto di Carlo dell’incontro tra i due al momento di fare l’esame: «Ci provai anche a suggerire a mio padre gli argomenti da chiedergli, sussurrandoglieli a bassa voce e con pietismo. Lui, però, fu irremovibile: “Mi parli dii Pabst”. Lo supplicai invano, lui rincarò la dose: “Dreyer“. Scena muta, mormorio degli altri studenti: “Sta a boccià er fijo”», ricorda Carlo Verdone. «La sera poi a casa gli ho detto: .“Ma che c***o hai combinato?” E lui sorrise ed esclamò: “Mi scocciava far vedere che promuovevo il mi’ fijo“. però quello che ti ho chiesto non l’avevi studiato, la prossima volta fallo”».Il giovane Verdone del cinema si interessa solo come studente, ma ama far ridere.
La sua strepitosa mimica facciale, la sua abilità nel cambiare voce, nell’impersonare individui totalmente diversi, dal timido all’arrogante, dal professore al coatto, dall’insicuro al presuntuoso, gli aprono le porte del cabaret. A lanciarlo è un programma televisivo leggendario, Non stop, che porterà alla ribalta anche Massimo Troisi e Francesco Nuti. Il successo è tale che gli viene offerto di portare le sue macchiette in un film, con il titolo Un sacco bello, dal tormentone di uno dei suoi sketch.
Costruire un film su personaggi nati in televisione, tirare per un’ora e mezza cinque minuti di gag, può rivelarsi un disastro, e in altre occasioni lo è stato. Invece Verdone, aiutato anche dai consigli di un amico di famiglia, Sergio Leone, e con il contributo della musica di Sergio Morricone, tra fuori quello che è ancora un classico della comicità italiana, con l’indimenticabile coatto Enzo che dà appuntamento al “palo della morte” all’amico seguo per un viaggio in Polonia alla ricerca di ragazze facili e l’hippy Ruggero, che il padre (Mario Brega) tenta di riportare alla vita normale.
Solo pochi mesi fa, per celebrare il quarantennale di questo film d’esordio, i fan della pellicola hanno invitato Verdone all’appuntamento al “palo della morte” (nella periferia romana) per un nostalgico ritrovo. Il successo clamoroso si ripete con Bianco, rosso e Verdone, poi qualcosa si spezza: la comicità macchiettistica non basta più aVerdone, c’è tutto un mondo di sentimenti che vuole esprimere. Una piccola crisi creativa che apre la strada al suo film migliore, Borotalco, in cui i suoi personaggi perdono la dimensione caricaturale per diventare umanissimi, inchiodati a una vita che non li soddisfa, e ansiosi di ottenere qualcosa di più e di meglio, senza riuscirci.
Dietro alla risata si cela una piccola lacrima, l’apparente spensieratezza nasconde una riflessione, non intellettualistica, ma profondamente umana. E Verdone con grande abilità, ha sempre saputo miscelare le sue doti d’attore, sempre più raffinato e consapevole dei suoi mezzi, con la capacità innata di raccontare la realtà, persone vere, sentimenti autentici, in cui tutti gli spettatori si riconoscono. Niente cinema impegnato, che saggiamente ha sempre evitato, ma un impegno costante nel ricostruire la quotidianità di persone normali, con una comprensione e una simpatia verso il prossimo che raramente si trovano nel cinema italiano.
Ed è questo il segreto di grandi successi come Compagni di scuola (irresistibile il racconto di Verdone di come accolse la prima proiezione il produttore Vittorio Cecchi Gori: “Bravo Carlo, i film li dirigi meglio di come li scrivi”), Maledetto il giorno che ti ho incontrato, Perdiamoci di vista, C’era un cinese in coma, dove senza dare nell’occhio, tra una risata e l’altra, si occupa di temi importanti, come la psicanalisi, il tradimento dell’amicizia e degli ideali, l’incomunicabilità, l’ambizione che uccide i rapporti personali, la difficoltà di far vivere i grandi amori. Ma soprattutto il tema fondamentale: il desiderio di fuga, di vivere qualcosa che riesca a farci uscire dal solito tran tran, dalle frustrazioni quotidiane.
Verdone ha anche la capacità, rara nei “mattatori”, di dare grande spazio a chi lavora con lui, in particolare alle figure femminili. Non si contano le attrici che sono state valorizzate in modo eccezionale dal registra romano, da Eleonora Giorgi in Borotalco (per cui vinse anche un David di Donatello) a Claudia Gerini, la partner con cui probabilmente si è meglio affiatato, in Viaggi di nozze, Sono pazzo di Iris Blond e Grande, grosso e Verdone. Ma l’elenco comprende anche Asia Argento, Veronica Pivetti, Ornella Muti, Margherita Buy, Laura Morante e, ultima scoperta, Ilenia Pastorelli, da lui lanciata nel grande cinema con Benedetta follia.
Di recente ha anche provato il brivido del “comprimario”, con una parte importante nel film Premio Oscar La grande bellezza, dove interpreta con toni dimessi un uomo deluso e sconfitto. Complicato è stato il suo rapporto artistico il rapporto con Alberto Sordi. Molti lo considerano il successore naturale di ”Albertone”; ma Verdone ha sempre considerato questa eredità un fardello troppo pesante per le sue spalle. I due hanno lavorato insieme due volte: erano padre e figlio in In viaggio con papà, mentre Sordi era l’avvocato pazzoide in Troppo forte. Riguardo a quest’ultimo film, Verdone non ha mai nascosto che avrebbe preferito per quella parte Leopoldo Trieste, e ha detto apertamente che Sordi non gli è piaciuto affatto in quella circostanza.
C’era tra loro anche grande amicizia e una frequentazione assidua, non priva di una certa sottile rivalità. Ma, nonostante una somiglianza apparente, la statura dei due artisti è molto diversa: Sordi, dice Verdone, è un attore straordinario, anzi assolutamente rivoluzionario, però legato a un’epoca storica e a un’Italia, quella degli anni ’50 e ’60, che non esiste più. «Io invece sono più attento alle relazioni personali, alle sfumature », dice Verdone. Ed un regista migliore, aggiungiamo noi.Tanto loquace è Verdone sulla sua arte (Youtube, ad esempio, è pieno di racconti di Verdone legati ai momenti cruciali della sua carriera, a spassosi aneddoti, a valutazioni critiche, talvolta severe, talvolta benevole, dei suoi film) quanto riservato sulla sua vita privata, di cui non parla mai.
È noto che è cognato, oltre che grande amico, di Christian de Sica, che ha sposato la sorella Silvia (un altro fratello, Luca, è anche lui regista). Si sa che è stato sposato dal 1980 al 1996 con Gianna Scarpelli, dalla quale è legalmente separato ma non divorziato: da lei ha avuto due figlie: Giulia, oggi 34 anni, che lavora anche lei nel cinema, nei ruoli di backstage come assistente e segretaria di produzione, e Paolo, 32, che invece si occupa di tutt’altro. Del rapporto con la moglie si sa quasi soltanto quello che lui stato ha riferito in un’intervista a Vanity Fair, dove ha lasciato capire che la colpa della separazione era sua, e della sua continua lontananza dalla famiglia.« All’inizio, un po’ di schermaglie ci sono state. Ma a un certo punto deve entrare in gioco il buon senso », per poi ricordare che la moglie gli è poi sempre stata vicina, Parlano per lui, probabilmente, alcuni film, ad esempio L’amore è eterno finché dura, che parlano di coppie in crisi, di tradimenti tentati e riusciti, qualche volta incrociati e mai confessati. Come tanti artisti, piuttosto che raccontare la sua intimità a parole, ha preferito farlo con le sue opere, in questo caso i suoi film. Ed è anche per questo che non ci stanchiamo mai di vederli.