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Questo articolo in breve

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Il supplizio di Sisifo: condannato a spingere fino in cima a una montagna un enorme, pesantissimo masso, che poi rotolava regolarmente giù. All’infinito. Oppure Tantalo: per sempre affamato e assetato, con davanti a sé un albero ricco di frutti, i cui rami però si allontanavano per colpa di raffiche di vento improvvise, quando lui allungava le mani. E immerso in un lago sino al collo ma che si prosciugava subito, non appena Tantalo cercava di bere.

Lode per sempre alla aurea mitologia greca: arte e filosofia umanamente divine, nei suoi mille intrecci di glorie, rovine e condanne. Cioè la vita di tutti noi bipedi: è tutta lì. E tra Sisifo e Tantalo, sportivamente svolazzando, c’è l’insieme dei fatti e delle aspirazioni, delle salite e delle cadute, delle speranze di rinascita e delle immancabili forche caudine che hanno fin qui costellato il percorso di Giampaolo.

Terra terra, oggi il tecnico ricomincia a giocarsi un pezzo di panchina, se non subito tutta: dipende anche da come andrà la partita. A Napoli aveva portato via un punto salvifico, seppur tra gli ennesimi mostruosi rimpianti per l’ennesima mostruosa vittoria gettata via. Ora il Parma, post sosta. Un Parma reduce da un ritiro pesante, mal messo in classifica seppur non come il Torino, eroso dalle assenze e roso dai dubbi attorno a Liverani. Spareggio salvezza. Fu amore o un calesse ciò che si vide nella terra di Troisi? Vorrebbe capirlo anche Cairo: simile, a ben pensarci, più a certi celebri re scespiriani che a evocazioni mitologiche.

Ha detto Giampaolo, in sostanza, davanti all’ennesima salita, all’ennesimo masso da spingere fin su, sperando di non dover vederlo rotolare già oggi al Tardini: «Ci sono insidie in ogni gara e in questo momento il nostro orizzonte temporale è solo la partita. Abbiamo ridotti margini di errore e bisogna saper convivere con queste pressioni. Ma avevo lasciato la squadra in crescita e l’ho ritrovata bene, con anche uno spirito diverso. Una presa di responsabilità differente.

Difatti mi aspetto altri miglioramenti: ogni volta un pezzettino in più. Sono fiducioso anche perché in allenamento noto la squadra crescere pure su quelle cose invisibili che non sono per forza la partita della domenica». Riflessioni che si sposano per Verdi, in particolare: «E’ migliorato di gara in gara, perché è migliorata la sua sicurezza e si pone bene negli allenamenti. Oggi per me è un giocatore importante». In generale: «Ci aspettano 5 partite in 15 giorni. C’è bisogno di tutti». Attenzione, però: soltanto «di tutti quelli che remano nella stessa direzione. E se dovessi mai notare giocatori distratti dal mercato, sarà compito mio non impiegarli».

Già, il mercato: i mercati secondo Cairo, per meglio dire. «Qualcosa la società farà, è attenta nell’interesse supremo del Toro. Ma per me adesso conta il presente, la partita. Nel mercato invernale credo nell’ottica di un miglioramento. Se gli interventi sono finalizzati a rinforzarsi, allora assolutamente sì, ci credo. E se ci dovessero essere degli scontenti (e ci sono, ndr), la società cercherà di creare le situazioni per risolvere ogni problema». Fuor di diplomazia: una cessione, of course. «Con il club ho un confronto quotidiano. Non passa giorno che non ci sia una mia relazione a Vagnati su quello che è successo e sulla condizione della squadra.

Il 27 dicembre ero a casa del presidente, con Vagnati. Ci confrontiamo davvero quotidianamente per fare le cose migliori». Che sul prato, secondo Giampaolo, significa «pensare di poter vincere attraverso delle idee di gioco. Idee che ti danno più possibilità di vittoria. E’ una strada che perseguirò fino all’ultimo dei miei giorni qui al Toro. Avere delle idee accresce il livello di autostima. E solo giocando bene hai la possibilità di vincere e di giocare sempre meglio, proprio perché ci credi sempre di più». Rimonte subite a parte, però: 23 punti già gettati. Se alla fine le belle idee si trasformano regolarmente in illusioni, sono dei Triangoli delle Bermude: meglio un sano catenaccio e contropiede, tanto per intenderci (tristemente, certo).

Chiudiamo col botto: Baselli. Di nuovo convocato dopo una vita. Ovvero dopo l’operazione di giugno (ricostruzione del crociato anteriore del ginocchio destro). Ma risale addirittura a 309 giorni fa la sua ultima partita (29 febbraio 2020, a Napoli). «Baselli è rientrato in squadra da qualche giorno. Bisogna portarlo ad allenarsi coi compagni seguendo un percorso graduale. Può fare sia la mezzala sia il regista. Ho fatto una chiacchierata con lui, in merito. Lo sto facendo lavorare da play, mi ha dato la sua disponibilità e ha le qualità per farlo». E il Toro non ha registi, aggiungiamo noi. «E’ un giocatore pensante». Ma ha bisogno di tempo. Esattamente come Giampaolo.

Giovane, coraggioso, non spregiudicato. Produttore di gioco, nelle intenzioni: non sempre le ciambelle sono uscite col buco dal suo taschino, però per lunghi, lunghissimi tratti degli ultimi 2 campionati la sua squadra (proprio il Parma, oggi avversario dei granata) ha sfornato trame e vittorie, in A. Ha inciso, infiammato il pubblico, fatto parlare la critica. E D’Aversa è un tecnico da ciclo, non di transizione: lo dice l’analisi delle sue caratteristiche, lo testimonia il doppio salto in alto con gli emiliani dal dicembre 2016 allo scorso agosto (2 promozioni dalla Lega Pro alla A, con allegate altrettante salvezze più che tranquille) e lo sentenziano le ambizioni stesse dell’allenatore, nato a Stoccarda 45 anni fa. Curiosità: anche Giampaolo è nato all’estero e anche lui propugna il gioco quale passepartout. Ma le sue ciambelle granata, ahinoi… altro che col buco! Una gruviera: 32 reti incassate (peggior difesa), 8 sconfitte, una vittoria e 5 pareggi.

Oggi il Parma, mercoledì il Verona in casa, quindi il Milan a San Siro, sabato. Poi la Coppa Italia, a seguire di nuovo il campionato… Per Cairo, ormai, non esiste più un momento “ideale” per favorire l’ingresso graduale di un nuovo tecnico. Di certo, superato il redde rationem di Napoli (allora sì, con sosta natalizia a posteriori), Giampaolo torna da oggi sulla graticola: inevitabile, dato l’ultimo posto dopo 14 giornate.

Di D’Aversa scriviamo da almeno un paio di mesi. Ci raccontano di contatti ripetuti tra i vertici del Torino e l’ex tecnico del Parma. Raccontano anche di intermediari in azione. E di strategie condivise. E di un contratto da risolvere anticipatamente, se si vuole firmarne un altro: il contratto che lega D’Aversa agli emiliani sino al 30 giugno del 2022 (18 mesi: grossomodo, in ballo 3,5 milioni lordi). Certo che il Parma sarebbe ben felice di non dover più versargli questi stipendi! Ma il mercato resta mercato: e un’automobile possiede sempre un valore per il suo proprietario, anche se costui non la usa più. Ma il mercato resta mercato anche per D’Aversa: normale che aspiri a guadagnare sempre di più e sempre per più tempo. C’è chi sta facendo i conti, difatti. Morale: Cairo dovrà “ringraziare” il Parma (un giocatore del vivaio in regalo, se non soldi?) e pure accontentare D’Aversa, se davvero vorrà portarlo al Torino. Che poi il tecnico, dal canto suo, sia ultramotivato: beh, questo è sicuro, ma è anche un altro discorso.

Nicola (ex giocatore vincente del primo Toro di Cairo) resta in ballo, quale alternativa più che mai intelligente: e stiamo parlando di un altro tecnico con le idee chiare, gli attributi e belle imprese alle spalle, in termini di salvezze. Costa anche molto meno di D’Aversa (contratto col Genoa sino a giugno: grossomodo un milione lordo, in 6 mesi). A seguire, Donadoni: libero, dopo la Cina. In coda, Semplici e Longo.

La posta in palio è alta, altissima. In ballo non ci sono solo i tre punti, ma il futuro e il mercato. La panchina di Fabio Liverani non è in pericolo, ma è chiaro che il presidente Krause vuole vedere una risposta sul campo dopo le due sconfitte (e brutte prestazioni) contro Juve e Crotone. Segnali di crescita. «E grande voglia di rivalsa – dice il tecnico – Abbiamo vissuto questi giorni di ritiro per conoscerci meglio. E’ uscita fuori un’unione, una voglia di riscatto, con allenamenti di buon livello.

Dobbiamo trovare la continuità di prestazione e di punti e questo possiamo farlo solo insieme». Al di là dell’infortunato Gervinho, il Parma è alle prese col problema del gol (solo 13: peggior attacco della A) e in casa ha vinto solo una volta: «Ci mancano i gol degli attaccanti. Cornelius e Inglese non hanno avuto condizione e continuità, Karamoh è alla prima vera stagione e probabilmente non ha il dna del goleador. Gervinho è quello che ha più confidenza ed esperienza e ne ha fatti 4.

Gli altri sono da scoprire. L’assenza di Gervinho è pesante, siamo in contatto con lui, rientrerà in Italia nelle prossime ore».
Il Torino, che a inizio stagione ha cambiato allenatore come il Parma, sta vivendo problemi simili: «Chi è più in difficoltà ha cambiato allenatore. Noi abbiamo cambiato anche proprietà e ds. Il Torino, come noi, ha un potenziale più alto di quanto sta esprimendo. Giampaolo dà un’identità alla squadra. Ha idee, lavora, è rispettoso, ho grande ammirazione e rispetto per lui». Due ballottaggi: Iacoponi-Busi e Cyprien-Brunetta.

Il tanto vituperato Mazzarri (sicuramente troppo, oggettivamente e umanamente) volava, al confronto di Giampaolo. E pure di Longo. Sembra incredibile, ma è così. Sembra incredibile, perché in tanti, anche qui troppi tifosi granata è rimasto alla memoria soprattutto (se non solo) l’ultimo periodo mazzarriano: autunno/inverno 2019-’20, quando WM incassava gol su gol e inanellava sconfitte su sconfitte, con mezzo spogliatoio sull’anarchico andante, sempre più scollegato dal tecnico toscano e pure dai propri doveri. Doveri moralmente sportivi e sportivamente morali. Una discesa agli inferi, post inizio di campionato brillante (e dopo anche la doppia finale persa con il Wolverhampton, in coda ai preliminari di Europa League).

Il mercato sbagliato, profondamente inadeguato, la preparazione estiva negativamente condizionata dagli impegni europei e una qual certa insoddisfazione di più giocatori di fronte ai metodi mazzarriani inaridirono la terra granata. Le sconfitte alimentarono il volano della negatività. Iniziò a soffiare la bora e la palafitta societaria del Torino Fc iniziò a traballare sempre di più. D’altra parte la struttura dirigenziale del club è sempre la stessa, anche se cambiano i ds (2 negli ultimi 18 mesi: post Petrachi, prima Bava e poi Vagnati): troppo snella, ridotta, leggera sotto molti aspetti. E sempre sballottata dagli umori, dalle pressioni, dalle pretese ma anche dai dubbi di Cairo. Dalle sue omissioni. E dai suoi errori, individuali o condivisi che siano.

Resta il fatto che anche il peggior periodo di Mazzarri, ovvero le sue ultime 5 partite pre-esonero, con le incredibili e umilianti batoste contro Atalanta (0-7 in casa) e Lecce in trasferta (4 pere a zero), anche il peggior periodo di Mazzarri (si diceva) resta pur sempre ben più produttivo sia del mini-ciclo di Longo, sia dell’attuale resistenza giampaoliana. Media punti a partita: 1,2 contro 0,81 e 0,57. Se poi andiamo a controllare la media punti (sempre e solo in campionato) del Mazzarri “intero”, cioè da quando arrivò al Toro, vediamo che si attesta a 1,5 punti a partita (119 punti in 79 incontri). Se poi isoliamo i suoi ultimi 13 mesi abbondanti, saliamo a 1,53. Soltanto l’anno solare 2019: 1,58. Insomma: in sostanza, quanto a punti portati a casa, Mazzarri viaggiava al doppio della media di Longo e al triplo della media di Giampaolo. Volava, altroché, anche se il gioco lasciava sempre più a desiderare, negli ultimi mesi. Allora è il caso di scimiottare Arbore, a questo punto: meditiamo, gente. Meditiamo.