Monica Vitti la sua storia

Questo articolo in breve

Con Monica Vitti se ne va un altro pezzo d’Italia, un altro pezzo della nostra vita, della mia vita. Erano gli anni Ottanta e prendevo il sole con lei e Roberto Russo suo marito sugli scogli di Punta Volpe a Porto Rotondo, in Sardegna, a casa di Marta Marzotto, che ogni mezzogiorno, anche senza fare inviti, preparava comunque una tavola per un numero imprecisato di ospiti.

Alcuni a casa sua come Lina Wertmüller e il marito Enrico Job, lo scenografo e costumista, Nori e Sergio Corbucci, il regista, altri di passaggio come me, che avevo una casetta lì vicino, o Monica Vitti e Roberto Russo, che stavano a due passi da me, a Porto Rotondo. Io ero il giovane e un po’ cretinetti, e manco mi vedevano, ma quando Monica dopo ore al sole scoprì che ero giornalista si spaventò: «Mamma mia, con tutto quello che ho detto». «Tranquilla!», la rassicurai, «Sono ospite come te: si parla, ma poi si tace».

La rividi anche una mattina, quando la notte cercarono di rapire Marta, «Hai saputo?»,mi disse. Non lo sapevo, corsi a casa di Marta dove trovai Matteo Marzotto. Poi ci siamo ritrovati varie volte, sempre in Sardegna.

Parlava per ore, solo lei. Ma era come vedere un bel film. Solo un uomo paziente come Roberto, bello e carismatico, avrebbe potuto starle accanto, dopo Michelangelo Antonioni che la diresse in quattro memorabili film (come L’avventura e L’eclisse) e il direttore della fotografia Carlo Di Palma, che, dopo aver lavorato con Mastroianni e con l’allora bellissimo Alain Delon, divenne il suo nuovo compagno.

Poi un giorno, agli inizi del 2000, Monica è uscita dalle nostre frequentazioni. «È tornata come una bambina, mi diceva Marta con pietà, mai avremmo immaginato che Marta se ne sarebbe andata prima. Monica si era ammalata di una malattia forse degenerativa, non so, non ho mai voluto chiedere perché se chi ti ama tace non devi chiedere. Non ho chiesto. Ci vuole rispetto. Mi sono infatti stupito quando Franca Valeri disse: «Era di un’avarizia mostruosa. Una volta venne a casa con una tortina piccola, ma così piccola, che sembrava la definizione stessa di avarizia».

Forse era vero, ma tutti gli artisti sono avari, molto avari, perché il loro lavoro è fatto di incertezze, hanno scoperto il precariato prima che fosse un modus vivendi come lo è oggi, per tutti. L’ultima volta che l’abbiamo vista? «Troppo tempo fa», dice oggi Sophia Loren, «era al funerale di Mastroianni». Era nata col nome vero di Maria Luisa Ceciarelli a Roma, il 3 novembre del 1931, aveva compiuto da qualche mese 90 anni. Maria Luisa diventa Monica. Mo-ni-ca, Monica! “Vitti” invece nasce da Vittiglia, il cognome di sua madre.

Con lei hanno lavorato tutti i grandi compreso Alberto Sordi. Il mio film preferito? La ragazza con la pistola, un film commedia che rivela la voglia di emancipazione femminile che mancava nelle famiglie italiane.

Forse ha fatto più lei con le risate che ci ha regalato che cento manifestazioni femministe. Come diceva Molière, mi sottolineavano Franca Rame e Dario Fo quando ho iniziato a lavorare: «Nella risata ti si spalanca la bocca ma anche il cervello e nel cervello ti si infilano i chiodi della ragione. L’ossigeno della verità». Grazie Monica, e grazie a Roberto Russo per averla amata e protetta.