Con un peso insopportabile nel cuore, Marta, una donna torinese di 55 anni, ha deciso di dire addio alla vita attraverso il suicidio assistito in una clinica a Basilea, Svizzera. La sua lettera d’addio indirizzata al marito Alberto parla del dolore insuperabile che ha affrontato dalla scomparsa improvvisa del loro figlio adolescente.
Marta, tormentata dalla depressione che si è impossessata di lei dopo la tragica perdita del figlio a causa di una malattia degenerativa, ha scelto di porre fine alla sua sofferenza. Nelle sue ultime parole, ha espresso il suo amore profondo per il marito e il figlio defunto. Alberto, residente in Canada per ragioni professionali, ha ricevuto la notizia della morte di Marta via mail, in quanto il messaggio era finito erroneamente nello spam della sua casella di posta elettronica.
Il suicidio assistito è stato pianificato accuratamente da Marta, che ha deciso di compiere questo atto senza informare nessuno. Solo un’ora prima della sua morte, un avvocato ha ricevuto un messaggio da un numero anonimo con le ultime volontà della donna. Tra queste, la richiesta di chiudere la casa, donare i suoi vestiti in beneficenza e affidare al marito l’urna contenente le ceneri del loro figlio. Alberto è stato avvisato dall’avvocato solo diverse ore dopo, quando ha scoperto la mail dalla clinica svizzera annunciando la morte di Marta.
L’uomo ha esposto la sua disapprovazione per il fatto che non gli sia stato permesso vedere il corpo della moglie prima della cremazione. Ha ricevuto a casa l’urna con le ceneri e un certificato di morte, che non specifica le cause del decesso. La storia dolorosa di Marta solleva interrogativi sulla giustizia e l’umanità nel contesto del suicidio assistito, un argomento sempre più dibattuto nella società odierna.