Giornalista d’inchiesta caparbio, esperto e costante- mente alla ricerca della verità, Massimo Giletti è tornato al timone del suo Non è l’Arena. Il programma di approfondimento della domenica sera di La7 ha inaugurato la sua seconda stagione nientemeno che con Pamela Prati, protagonista dell’ormai celeberrimo “Caltagirone gate”.
Il giornalista e conduttore piemontese ci spiega le ragioni di questa scelta e confessa le valutazioni che lo hanno spinto a decidere di proseguire il suo cammino professionale a La7, resistendo, stoicamente, al canto delle sirene intonato da numerosi altri network televisivi.
Massimo, hai deciso di aprire la nuova stagione di Non è l’Arena ospitando Pamela Prati, perché questa scelta? «M’interessava capire come una notizia palesemente falsa sia stata per così tanto tempo al centro dell’attenzione mediatica. Si tratta di una storia che tra non molto tempo diventerà centrale per raccontare la Tv di oggi. Del gossip nuziale non m’interessa nulla, è chiaro, quello che volevo capire è come il sottobosco diventi bosco, come il ciarpame si trasformi in nutrimento televisivo. L’altro aspetto fondamentale è quello di una seria riflessione sulla televisione di oggi: ognuno risponde alla propria morale, ma in nome dello share non si può fare tutto. Se non avessi avuto in studio la protagonista della più grande bufala mediatica, la più gigantesca fake news degli ultimi anni, non mi sarei mai occupato di questo caso».
Perché, dopo mesi di silenzio, Pamela Prati ha scelto proprio la tua trasmissione per raccontare la sua versione dei fatti? Come sei riuscito a convincerla? «Non è stato facile. Ci siamo sentiti e visti più volte quest’estate. Si scelgono i programmi sulla base della credibilità degli stessi. Credo che una persona dipinta come lei in un certo modo, che ha fatto pure degli errori, avesse tutto l’interesse a raccontarsi in un luogo in cui sapeva che nessuno le avrebbe fatto sconti, ma dove avrebbe avuto la possibilità di raccontarsi in modo onesto. Quando l’ho incontrata con i miei autori le ho spiegato esattamente questo. Un’inchiesta seria, insomma, non Tv da nani e ballerini».
Tema caro al tuo programma è da sempre la politica. Che cosa pensi dell’attuale situazione italiana? «Nonostante si abbia in Italia un governo all’anno, il sistema industriale e quello bancario hanno mostrato di reggere. Siamo migliori di molti altri stati europei, perché il Paese reale va avanti, è la politica che fa passi indietro. Così come l’assenza (il riferimento è a Mark Caltagirone, ndr) è diventata il centro della Tv, il rischio è che l’assenza, intesa come incapacità di prendere decisioni, diventi il centro della politica.
I programmi politici sono diventati dei meri libri di sogni. Sono una lista di progetti palesemente irrealizzabili: serve più serietà e più rispetto nei confronti degli italiani».
La domenica sera è diventata sempre più complicata e affollata sul fronte dell’offerta televisiva… «Con la concorrenza che c’è, penso soprattutto alla decisione di Raiuno di mettere la fiction la domenica sera, i numeri straordinari dello scorso anno non li potremmo di certo ripetere. L’importante è lasciare una traccia. Con un’offerta così ricca il contenuto diventa più importante di ogni cosa.
Per fare una battuta direi che una volta c’era solo il Papa che faceva l’angelus, ora sono arrivati anche arcivescovi e badesse. Io sono un prete di periferia che, con pochi mezzi, dà fastidio e combatte per portare avanti le sue idee. È questo il mio modo di fare Tv». Quest’estate in molti credevano fossi a un passo dal tornare in Rai… «La tentazione più grande, in realtà, l’ho avuta da un altro gruppo. Non lo avevo mai detto prima, ma è così. Mi ha cercato in modo costruttivo a livello di produttività. Nei confronti della Rai da parte mia c’è l’amore per un’azienda nella quale sono cresciuto, ma la non chiarezza che percepivo, la confusione che temo peraltro aumenterà, mi ha impedito di tornare. Per chi fa il mio lavoro, la libertà è il bene più grande. Libertà non solo di trattare gli argomenti, e in questo il mio editore Cairo è un re, ma anche come velocità e capacità di reagire alla notizia. Qualcosa che per me è quasi sullo stesso piano della libertà»