Si intitola “Si vive una volta sola” il nuovo film di Carlo Verdone che torna dietro la macchina da presa due anni dopo “Benedetta follia”. Accanto a lui troviamo Max Tortora, Anna Foglietta, Rocco Papaleo, Max Giusti e soprattutto una storia che va a pescare nella sua passione, la medicina. Nel film, infatti, si narra la storia di un chirurgo preso in giro dai suoi colleghi che un giorno vede arrivare il Papa per un controllo alla cistifellea. Quella della medicina per lui è un vero amore che negli anni si è trasformata in qualcosa di importante perché oggi è un vero esperto al punto che l’università Federico II gli ha conferito una laurea honoris causae in medicina, ed è spesso consultato dai suoi amici e conoscenti per avere un’opinione medica.
Oggi però ha smesso di fare diagnosi, o almeno così dice: «ho smesso. Non voglio far arrabbiare i medici o diventare una barzelletta. Ci ho sempre azzeccato, ma ho consigliato a ogni paziente di rivolgersi a un vero dottore», ha detto a “Il Messaggero” Verdone che però è sempre innamorato del cinema anche se va in fibrillazione ogni volta che esce un suo film: «mi domando se piacerà, su come il pubblico uscirà dalla sala, in quanti andranno.
Oggi è più difficile trovare i personaggi per strada. Hanno tutti il cellulare in mano, i discorsi sono a brandelli, non si ascoltano le risposte, e forse perché nessuno si guarda più neanche negli occhi», ha spiegato a “Il Fatto quotidiano” a cui ha anche rivelato che forse le sue titubanze nascono da quanto gli diceva suo padre, il famoso critico cinematografico Mario Verdone: «conosceva bene la realtà del cinema, le difficoltà per intraprendere e restare in questo mondo: per lui era un mestiere complicato, pericoloso, pieno di fragilità. Diceva: “O sei da primo in classifica, o meglio lasciar perdere. E non so se puoi riuscirci. Studia e pensa a un posto sicuro”».
E invece ha avuto una carriera fantastica con film cult e ogni volta è un successo, Carlo non sbaglia un colpo e lui è il primo a rendersene conto: «A volte mi sembra incredibile. E mi chiedo: Ma chi resiste per 42 anni? Chi riesce a lavorare per quattro decenni di seguito provando sempre a reinventarsi senza cadere? – ha rivelato a “Vanity Fair” – Non mi sono mai sentito arrivato. Ho sempre visto i miei film come esami da affrontare e superare volta per volta. E’ stato faticoso. Logorante. La tentazione di dire “ma io cosa devo ancora dimostrare?” era forte. Devi sempre dimostrare qualcosa. Vai avanti con l’età e la tua maschera muta esattamente come cambia tutto intorno a te.
Non sono più quello di Borotalco o di Bianco, rosso e Verdone, mi sono dovuto adattare alle epoche anch’io». La sua fortuna è che ha sempre l’entusiasmo dei primi tempi, come quando si esibiva nei teatrini off, o come quando fece il suo esordio al Teatro Alberichino nel 1977 davanti a un solo spettatore che però, per sua fortuna, era il critico Franco Cordelli che scrisse bene di lui spingendo tantissima gente ad andarlo a vedere. Era l’inizio della sua carriera da attore, un ruolo in cui lui però ci si è ritrovato: nel 1973 era in una rappresentazione teatrale universita r i a diretta dal fratello Luca, ma una sera si ammalarono ben tre attori e mentre erano tutti disperati lui ebbe l’idea di interpretare lui tutti e tre i ruoli cambiandosi velocemente d’abito.
Fu un successo al punto che questa soluzione divenne permanente. E pensare che «con tutta sincerità devo ammettere che mai avrei pensato di diventare un attore. – ha spiegato nella prefazione di Carlo Verdone al volume “Uno, dieci, cento Verdone”, pubblicata da “il Fatto Quotidiano” – Il lavoro dell’ attore mi sembrava un impegno per gente senza paura, piena di assoluta passione e con un perfetto e monolitico autocontrollo. Io non credevo minimamente di avere queste qualità. Timido, riservato, timoroso, credevo di essere inadeguato a presentarmi davanti ad un pubblico pagante». Ora torna con questo film, ma lui sta già pensando al futuro e in particolare a una serie tv, la forza comunicativa verso cui si stanno dirigendo tutti i registi e gli attori.
Una soluzione che lui accetta anche se rimpiange i tempi passati: «è cambiato tutto, ma non voglio essere nostalgico. Certo che dispiace, perché senza la sala cinematografica si perde molta poesia. – ha ammesso a “I lunatici” su Rai Radio 2 – Sta cambiando la fruizione del prodotto, io lavorerò ancora un pochino, non è che posso lavorare in eterno, però probabilmente farò una incursione con una serie televisiva. Almeno una la dovrò fare. Me lo chiede il produttore e mi rendo conto anche io che con i tempi che corrono bisogna mettersi in gioco anche con cose del genere. Il mondo cambia, bisogna adeguarsi».