Gli opposti si attraggono recita un celebre detto. Ed è quello che viene in mente incontrando Carlo Verdone e Anna Foglietta in un soleggiato pomeriggio di febbraio. Per il suo ventisettesimo film, Si vive una volta sola, in uscita il 26 febbraio, Verdone ha scelto l’attrice romana – già Nilde Iotti a dicembre su Raiuno – come partner femminile e ne è entusiasta. Seduti davanti a noi, si manifestano in tutta la loro opposta diversità: lui malinconico, lei solare.
«Ho scoperto Anna vedendola al cinema in una commedia con Paola Cortellesi, poi in teatro, recitare una pièce molto drammatica sulla poetessa Alda Merini. Ho pensato: ma guarda un po’ che brava. Poi l’ho vista interpretare una madre con problemi psichici e mi sono detto: questa ha una marcia in più». Non ha nemmeno ritenuto necessario farle un provino. «Carlo mi ha invitato a parlare del film nel salotto di casa sua e mi ha chiesto che cosa ne pensassi. “Guarda”, gli ho detto, “dal momento che mi hai aperto la porta era un sì”.
Sono cresciuta con i suoi film. Secondo i miei compagni di liceo [tra i quali c’è anche il marito Paolo Sopranzetti, promotore finanziario, ndr] con i quali guardavo Compagni di scuola quando facevamo buca, questo film è l’apice della mia carriera. Carlo immortala gli usi e i costumi del nostro Paese meglio di chiunque altro». Prosegue lui: «Non l’ho confessato a nessuno, ma avevo molta paura prima di cominciare questo film. Un’ansia acuta da prestazione.
Mi dicevo: ti è andata sempre bene, ora sei maturo, riuscirai ad avere sempre la stessa forza e lucidità? Il mestiere di far ridere ce l’ho, è guidare l’aereo della regia che fa paura. Comincio a temere qualche fragilità: non è l’ansia di una volta, quella non c’è più, ma tante piccole preoccupazioni. Poi è successo un piccolo miracolo: è bastato che girasse Anna il primo giorno e improvvisamente si è sciolto ogni timore». Prova ancora l’emozione delle prime volte? «Quella si è affievolita. Il film è sempre un figlio mio, ma non più come un tempo, che non ci dormivo la notte. Ora posso dire: di più non potevo fare, sarà quel che sarà». È diventato fatalista: «Sono diventato saggio, l’età in questo aiuta».
A novembre saranno 70 anni. «Il numero fa paura, francamente. Dentro non me li sento, fuori posso dimostrarne cinque in meno, però sono come un’auto d’epoca: bellissima da vedere, ma c’è sempre qualche magagna». Il film, corale, racconta di quattro amici chirurghi. Carlo è un medico mancato. «È sempre stata una mia passione privata. Diversi primari mi hanno detto che ho un occhio diagnostico spaventoso. Ho frequentato tanto i medici, amici di mia madre, che venivano a casa: gente formidabile da cui ho imparato moltissimo. Poi l’insonnia mi aiuta: di notte leggo gli atti dei congressi». Gli hanno anche dato una laurea honoris causa. «Che ho ribattezzato “doloris causa”.
Comunque non so tutto: di ginecologia, per esempio, nulla». Anna ride: «Sul set gli chiedevano pareri farmacologici e lui commentava proprio il principio attivo, come Raniero in Viaggi di nozze». «Sì, ma in genere non ve do niente!», ribatte il dottor Carlo. Poi torna il regista: «I protagonisti del film sono bravissimi al lavoro, ma disperati nel privato. Talmente soli che si incoraggiano a vicenda, finché l’eccessiva frequentazione usurerà la cosa più importante che hanno: l’amicizia».
Fondamentale per chiunque. «La maggior parte dei miei amici sono donne, oppure omosessuali. Ma mentre con i gay non parlo di cose private perché il loro mondo è molto diverso dal mio, con le donne mi apro come fossero mia madre». Sua madre è anche l’ispiratrice del titolo: Si vive una volta sola. «Una frase che disse prima di darmi un calcio nel sedere quando dovevo debuttare in teatro e seppi che in platea c’erano i critici. “Non ci vado mamma, mi sento inadeguato”.
E lei: “Vai, fregnone, che un giorno me ringrazierai. Vai, che si vive una volta sola! Prendi questa occasione e vedi come va”. Da allora è cominciato tutto», sorride, ma poi si adombra. «È impressionante: lavoro da quarant’anni. Mi sembra un sogno, il tempo è volato». Chiediamo ad Anna, che ha tre bambini – Lorenzo, 8 anni, Nora, 6, e Giulio, 5 – se crede che sia giusto, a un certo punto, dare “un calcio nel sedere” ai figli. «Certo. I piccoli vanno educati, hanno bisogno dei consigli di chi ha vissuto più di loro, che poi li deve incoraggiare ad andare per la loro strada. Diventando madre temevo che sarei diventata vittima dei figli, piccoli dittatori, come si sente raccontare.
Invece mi sono resa conto che basta essere solidi e sicuri delle proprie idee. Li amo più della mia vita, sono la mia gioia e adoro passare del tempo con loro, ma mi appartengono fino a un certo punto. Non mi angoscia l’idea che un giorno possano andare a vivere in Australia, anzi. Penso che sia il futuro, considerando come vanno le cose in Italia». Che cosa le piace di Carlo? «Il suo essere sornione. È concentrato, ma dolce e mansueto nel senso più bello del termine.
È una persona che non parla male degli altri e ama stare in armonia e ascoltare la musica». Già, la musica è sempre stata una grande passione di Verdone, che però al pensiero s’incupisce di nuovo: «Ormai è rimasto ben poco. Quelli che amavo io sono tutti morti. Con la scomparsa di Scott Walker e David Bowie mi è crollato un mondo». Qualche altro hobby? «La fotografia dove non esiste un essere umano: scatto solo immagini del cielo. Vorrei farne una mostra: sono le mie preghiere laiche. A forza di stare in mezzo alla gente non ne posso più. Così emerge la mia parte spirituale e contemplativa. Amo anche andare in campagna nella casa dei miei genitori, a osservare i colori, i tramonti e le albe, assieme ai figli [Giulia, 34 anni, e Paolo, 32, ndr] o agli amici, ma nessuna compagna: sono un cuore solitario».
Di Anna ama la forza: «Ha tre figli, fa teatro, poi fa questa promozione con me che è come passare sotto le forche caudine. Ha un’energia che ammiro, poi come se mette a letto dorme. La invidio! Non so quanto pagherei per essere così. È perfetta: solare, sensibile, intelligente. Ti mette allegria ed è anche protettiva». Anna sorride: «Non è che noi donne non abbiamo malinconie, è che cerchiamo di bypassare. Io poi, per costituzione familiare, non vedo il problema ma la sua soluzione. È la più grande eredità di mia madre, che ancora me lo insegna giorno dopo giorno. Pensate alla mia situazione ora: tra la promozione del film, i figli, mio marito che s’è rotto un piede e la signora filippina che è partita per il suo Paese… Mi faccio coraggio e come ogni volta alla fine, guardandomi indietro, potrò dire: ce l’ho fatta».