Il picco potrebbe arrivare domenica «Ma è necessario rispettare i divieti»

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La buona notizia è che, secondo diversi esperti, il famoso «picco» del coronavirus in Italia potrebbe arrivare già domenica 22 marzo, se le misure sono state rispettate seriamente dagli italiani. Il che consentirà di allentare la morsa sul sistema sanitario italiano ma—ed ecco la cattiva notizia—per risolvere davvero l’epidemia bisognerà aspettare che vengano trovate le terapie farmacologiche e un vaccino. Nel frattempo ci aspettano diversi mesi di restrizioni alla normale vita quotidiana e un cambiamento di abitudini probabilmente inevitabile.

Il parametro Ro Da giorni si cerca di capire quando ci sarà il «picco», ovvero quando la curva dei contagi raggiungerà il massimo livello, per poi cominciare a decrescere. Per Alessandro Vespignani, fisico e informatico che a Boston dirige il Network Science Institute, è verosimile che a partire dalla fine di questa settimana cominci l’inversione di tendenza: «Bisognerà vedere se ha avuto effetto, più che la chiusura della Lombardia, quella più generale del Paese.

Se le misure sono state rispettate, gli effetti si sentono dopo un paio di settimane». Considerando che le norme per la Lombardia sono state approvate l’8 marzo e quelle per tutta Italia l’11 marzo, i tempi tecnici si stanno avvicinando. Tutto fa capo al parametro R0, il «numero di riproduzione di base», che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva. Si calcola che ogni persona, in una popolazione mai venuta a contatto con il patogeno, contagi tra 2 e 3 persone.

Quando l’R0 scende sotto 1, l’epidemia comincia a regredire. Il virologo Roberto Burioni è scettico sulle date: «È impossibile davvero sapere quando accadrà. In teoria, se le misure di contenimento hanno funzionato, il loro effetto sarebbe tra 15 giorni. Ma immaginiamo che il reale picco dei contagi sia stato ieri: ce ne accorgeremmo solo tra 10- 15 giorni». Perché? «Perché il periodo di incubazione va da 2 a 11 giorni, con una media di 5-6 giorni. Ma quando è stata fatta la diagnosi? Non lo sappiamo ». Detto questo, il picco conta fino a un certo punto: «Se lo superiamo e poi molliamo, raggiungeremo nuovi picchi. Noi dobbiamo solo pensare a stare a casa e a contenere l’epidemia, perché il virus non ha le gambe per muoversi ».

Non farsi travolgere Sulla stessa linea Vespignani: «Uno potrebbe pensare: ma cosa stiamo facendo? Beh, stiamo cercando di non farci travolgere, di salvare il sistema sanitario. E molte vite umane. La scommessa è tenere il virus sotto controllo e aspettare». Cosa? «Che arrivi l’estate, anche se non è certo che il caldo diminuisca i contagi. Che si trovino terapie adeguate, spero entro sei mesi. Che si trovi un vaccino, e ci vorrà almeno un anno. E poi c’è l’immunità di gregge». Quella invocata all’inizio dal britannico Boris Johnson. «Loro stanno cercando di fare un gioco molto pericoloso: rallentare l’epidemia senza strangolarla, fino a quando non c’è un 50 per cento di infetti, che con l’immunità crea un rallentamento naturale.

Perché chi è stato contagiato sviluppa l’immunità: solo in pochi casi ci si riammala e spesso in forma lieve. Si chiama flatten the curve. Abbassare la curva in modo che non si intasi la sanità. Sistema rischioso perché non è sicuro che non collassi il sistema e perché c’è un costo enorme di decessi da Covid e “secondari”, ovvero di chi magari è infartuato e non trova posto in terapia intensiva». Le prospettive Con il coronavirus, però, ci toccherà convivere.

Fino a quando? Neanche gli esperti si sbilanciano. Burioni la mette così: «Il morbillo è passato dagli animali all’uomo nell’undicesimo secolo. Quando è stato debellato? Quando è stato raggiunto il picco?». No, è successo quando è arrivato il vaccino, negli anni 60, ovvero diversi secoli (e morti) dopo. «È comeuna nuova guerra mondiale — commenta Vespignani —. Vinceremo questa battaglia, ma ce ne saranno altre e i costi economici saranno enormi. Bisogna avere pazienza. Ma voglio dare una nota di speranza: se limitiamo il contagio, possiamo combatterlo meglio e arriverà il vaccino. Nel frattempo, però, cambierà la fibra sociale. Quanto torneremo alle nostre vite, difficilmente finiremo a ballare in un locale con 400 persone, tutti sudati»