Coronavirus, lo studio che apre una speranza contro la malattia

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La dura lotta contro il Covid-19 non concede tempo da perdere. L’emergenza è ancora in corso, ma le informazioni che circolano in tv e in rete iniziano a essere sicuramente più confortanti. Il mondo della ricerca è attivo h24, e da Quotidianao.net arriva la notizia di Davide Corti, 41 anni, ricercatore lombardo impegnato presso la Humabs BioMed SA di Bellinzona, filiale della californiana Vir Biotechnology Vir Inc, sta studiando un anticorpo in grado di poter frenare il virus.

Il ricercatore lombardo Davive Corti, posto a capo dell’équipe, ha annunciato nelle scorse ore di aver identificato alcuni anticorpi monoclonali umani in grado di riconoscere e neutralizzare il SARS-CoV2, il virus responsabile della Covid-19. Il ricercatore è originario di Mandello del Lario, nel Lecchese. Una volta conseguita la laurea in Biotecnologie farmaceutiche a Milano, ha deciso di proseguire la carriera formativa e professionale in Svizzera, dove oggi vive con la sua famiglia.  Il ricercatore spalanca le porte a una nuova speranza per tutti.

Su Il Giorno di Lecco, si leggono le dichiarazioni rassicuranti del giovane ricercatore: “La capacità di questo anticorpo di neutralizzare il virus SARS-CoV-2 è stata confermata in due laboratori indipendenti. Ci sono altri che ci stanno lavorando ma noi siamo più avanti: adesso è già in produzione ma per migliorare le sue proprietà, l’anticorpo è stato ingegnerizzato allo scopo di aumentarne l’emivita, cioè estendendo il tempo di efficacia; in più gli abbiamo conferito “caratteristiche vaccinali”, che danno all’anticorpo la capacità di agire per curare un’infezione in corso inducendo allo stesso tempo una risposta immunologica simile a quella che si ottiene in seguito a vaccinazione”.

“Ci lavoriamo dall’11 gennaio scorso, da quando i colleghi americani ci hanno inviato la sequenza del virus identificato alla fine del 2019 e per questo battezzato Covid 19. È stato un passaggio importante perché in passato i cinesi non lo avevano mai fatto. Abbiamo subito riscontrato che il Covid 19 era molto simile al virus della Sars. Così abbiamo lavorato sui linfociti, sangue di fatto, di soggetti che nel 2003 avevano contratto la Sars e da queste cellule abbiamo identificato l’anticorpo. Qualche anno fa ho fatto lo stesso su una persona sopravvissuta all’Ebola: l’anticorpo è stato testato in Congo e per la prima volta c’è stato un riscontro positivo. Adesso stanno producendo il farmaco”.

 

Davide Corti pensa del Covid-19: “É meno virulento della Sars ma arriva più in profondità, fino agli spazi alveolari dove avviene lo scambio gassoso e il sangue si ossigena. L’altra differenza fondamentale è che nel virus della Sars non c’erano infezioni asintomatiche ed era più facile circoscrivere l’infenzione; adesso invece ci sono molti soggetti asintomatici che fungono da “cavallo di troia” e il virus ringrazia. Questo virus ha dimostrato di essersi adattato benissimo all’uomo con una strategia camaleontica davvero eccezionale: la polimerasi, l’enzima che consente di replicarsi, è volutamente “difettosa” nel suo meccanismo d’azione e questo fa sì che si introducano delle varianti ad ogni ciclo virale che lo rendono sempre più performante”.

Ovviamente il ricercatore spiega nel dettaglio come agisce un anticorpo: “Pensiamo alle chiavi e alle serrature: l’anticorpo deve essere in grado legarsi al virus per sconfiggerlo e in questo caso l’anticorpo della Sars è stato in qualche modo il passpartout che ci ha permesso bersagliare anche il virus che causa la Covid-19, che è un parente stretto”.
Invece del virus: “È un parassita: il suo obiettivo è replicare se stesso ma non lo può fare fare da solo, deve attaccare un organismo”. Nonostante questo, e senza mai perdere le speranze, Davide Corti esorta tutti a: “Non abbassare la guardia e poi sarebbe interessante analizzare tra i soggetti veramente esposti quelli che hanno sviluppato una risposta autoimmune per trarre indicazioni utili”.