Covid 19 nel Lazio, a Pomezia si studia il vaccino

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Che cosa hanno in comune Pomezia e Oxford, ridente cittadina dell’Agro Pontino la prima, centro universitario inglese di fama mondiale il secondo? Due équipe di giovani ricercatori che a distanza di oltre 1.800 chilometri l’una dall’altro stanno partecipando senza tregua alla corsa planetaria verso il vaccino anti-coronavirus che tutti aspettiamo.

E che, grazie a questa collaborazione, hanno messo a punto un prototipo davvero promettente tra le oltre 70 sperimentazioni censite dall’Oms e le 5 o 6 in pole position citate dal celebre immunologo Alberto Mantovani. «Entro un mese inizieranno in Gran Bretagna i test accelerati su 550 volontari», spiega Piero Di Lorenzo, amministratore delegato e presidente di Advent – Irbm spa, l’azienda che sta realizzando il vaccino sperimentale chiamato ChAdOx1 insieme con lo Jenner Institute dell’università di Oxford.

«Entro giugno avremo finito di somministrare il prodotto, ed entro fine settembre dovremmo conoscere i primi risultati. Ma anche se tutto funzionasse bene, come ci auguriamo, non facciamoci illusioni: ci vorrà tempo perché il vaccino arrivi in farmacia. Prima toccherà ai medici e alle forze dell’ordine, poi ai più fragili. Solo alla fine sarà disponibile per tutta la popolazione. Ci vorranno insomma i 18 mesi di cui parlano tutti gli scienziati».

Ma torniamo indietro, per capire come mai questo prototipo può già partire con una sperimentazione così allargata, saltando alcuni test di tossicità sugli animali e su gruppi più ristretti di volontari di solito richiesti per i nuovi farmaci, un iter di 2 o 3 anni. Ce lo spiega con una certa emozione Stefania Di Marco, direttore scientifico di Advent, che coordina un gruppo di 25 giovani ricercatori impegnati giorno e notte nell’impresa. «Nel nostro laboratorio da circa 10 anni ci occupiamo di ricerca e sviluppo di vaccini basati sugli adenovirus ricombinanti e, forti di questa esperienza, crediamo fortemente nel nostro anti covid-19. Si tratta di un vaccino genetico, perché contiene al suo interno il gene modificato della proteina spike, la “coroncina” del covid-19.

La piattaforma di adenovirus è stata già testata dallo Jenner per il vaccino contro la Mers [malattia causata da un altro coronavirus, ndr], mentre da noi, qui ad Advent, è stata utilizzata per altre malattie infettive, tra cui la terribile Ebola. Studiare la tossicità di questi prodotti, il loro profilo di sicurezza, il giusto dosaggio e l’efficacia clinica sono passaggi che tutti i ricercatori impegnati verso l’obiettivo finale non possono saltare. Ma nell’urgenza dettata dalla pandemia le autorità regolatorie inglesi hanno accettato questa accelerazione perché entrambe le componenti del ChAdOx1 erano già state testate sull’uomo».

Ci siamo trovati come un centravanti con il pallone servito davanti alla porta, sintetizza ancora Piero Di Lorenzo, ma eravamo pronti perché ci stavamo allenando da anni. E continuando la metafora calcistica, l’imprenditore aggiunge: «Questo entusiasmo non è solo mio. In un’intervista rilasciata al londinese Times, Sarah Gilbert, notissima ricercatrice dello Jenner Institute – è un po’ il Maradona della vaccinologia – ha ammesso di essere molto fiduciosa nei confronti di questo primo trial sull’uomo in cui il ChAdOx1 è chiamato a dimostrare tutta la sua efficacia nel proteggere dall’infezione da coronavirus. Insomma c’è parecchio fermento tra Pomezia e Oxford, dove, tra l’altro, lavora anche un giovane ricercatore italiano formatosi alla scuola di Roberto Burioni, Giacomo Gorini, impegnato nello studio delle risposte immunitarie dei volontari.

E anche in Advent i ricercatori stranieri sono numerosi: la scienza oggi non ha confini». In pratica qual è la strategia di questo vaccino? «Quella del cavallo di Troia», spiega Carlo Toniatti, direttore scientifico di tutto il gruppo Irbm. «Significa che sfruttiamo le potenzialità di un adenovirus reso inoffensivo per trasportare all’interno dell’organismo gli antigeni di superficie del coronavirus (spikes). In questo modo stimoliamo la risposta immunitaria, cioè rendiamo il nostro sistema di difesa capace di attivarsi immediatamente in caso di contatto con il virus responsabile dell’infezione da covid- 19». Un lavoro di ricerca che necessita di tecnologie all’avanguardia e personale superselezionato, e che richiede ingenti capitali per poter andare avanti. Da dove provengono questi finanziamenti? «Siamo nelle fasi finali di una trattativa con un pool di investitori internazionali, oltre che di governi interessati allo sviluppo e alla produzione industriale di questo vaccino», dice esclusivo ancora l’amministratore delegato di Advent, azienda privata che annovera al suo interno il Consorzio Cnccs, costituito tra gli altri dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dall’Istituto superiore di sanità (Iss). «Attualmente la nostra azienda sta predisponendo i report scientifici da inviare all’Agenzia italiana del farmaco.

I ricercatori dello Jenner hanno fatto altrettanto con le autorità sanitarie britanniche. Tutto questo nell’attesa di ricevere le prime risposte al test, in settembre». Una corsa contro il tempo per battere la pandemia alla quale sta partecipando tutta la comunità scientifica internazionale. E se in Italia hanno dato i primi risultati positivi anche i test preclinici di altri “candidati” vaccini, nel mondo ci sono altri cinque prodotti già in fase clinica: quello di Niaid più Moderna Therapeutics e una formulazione della Coalition for Epidemic preparedness innovation (Cepi) con Inovio Pharmaceuticals, entrambe americane. Poi un siero dell’Accademia di scienze mediche militari di Pechino, CanSino biologics, e due vaccini dello Shenzen geno – Immune Medical Institute (tutti in studio in Cina). «In questa corsa non ci saranno né vincitori né vinti, tifiamo tutti per il risultato finale: la sconfitta della pandemia grazie a una vaccinazione globale », dice ancora il Toniatti. «Ma nell’attesa, è fondamentale non abbassare la guardia. Dobbiamo continuare a proteggerci con gli strumenti che ben conosciamo: lavaggio delle mani, mascherine, guanti, distanziamento sociale, tutela dei più fragili». Per ora è questo il miglior “vaccino” che abbiamo.