Laura, persi il marito e il lavoro, è costretta a ricominciare tutto da capo. È questa in estrema sintesi la trama di Vivi e lascia vivere, in onda il giovedì su Raiuno. La prima delle sei puntate ci ha lasciato con il fiato sospeso sulle sorti della protagonista, interpretata da Elena Sofia Ricci, che ha visto tornare dal passato il suo grande amore, l’affascinante e ambiguo Massimo Ghini.
Questa fiction ha molti punti di contatto con la nostra realtà attuale: il fatto di doversi rimboccare le maniche, inventare una nuova vita, trovare la forza per rinascere e procedere alla cosiddetta fase due. «Il cambiamento è un tema che ho sempre toccato nei miei film», commenta il regista napoletano Pappi Corsicato, alla sua prima prova televisiva. «Oggi tutti dobbiamo imparare a guardare al futuro con nuovi occhi.
Magari le cose potrebbero anche migliorare». Corsicato ha uno spirito decisamente ottimista. «Sono solare per natura e credo che le crisi vadano sempre colte come occasioni per cambiare. La situazione fa paura, ma sono certo che si troveranno le soluzioni, proprio come fanno le protagoniste di questa serie, che s’inventano un’attività di street food, cibo di strada, a Napoli». Non è un caso che il regista abbia scelto Elena Sofia Ricci: «Mi serviva una donna volitiva, di carattere. Una Filumena Marturano dei nostri tempi, forte e fragile, allo stesso tempo, che reagisce con coraggio alle avversità. E poi erano anni che volevo lavorare con lei.
L’ho conosciuta quando era ancora una bambina. Ero molto amico di sua madre, la scenografa Elena Ricci Poccetto, che conobbi sul set di Mi manda Picone, girato negli anni Ottanta a Napoli, davanti a casa mia. Avevo vent’anni, già studiavo cinema negli Stati Uniti, ma quella fu la mia prima esperienza su un vero set». La prima fiction di Corsicato è anche un passaggio generazionale perché in Vivi e lascia vivere recita la figlia ventiquattrenne di Elena Sofia, Emma Quartullo, nei panni della protagonista da giovane. «Ho fatto diversi provini per quel ruolo ed Emma mi ha colpito perché, come sua mamma e sua nonna, è bella tosta. Credo che farà strada e mi ha confidato che è interessata soprattutto alle regia.
Sul set abbiamo creato una calda atmosfera di famiglia». Nel cast Corsicato ha chiamato anche altri attrici amiche, come Iaia Forte e Teresa Saponangelo. L’unica che non conosceva personalmente è Bianca Nappi, celebre per la commedia Mine vaganti di Ferzan Ozpetek, che interpreta la migliore amica della protagonista. «Direi anche la sua antitesi», spiega la Nappi. «Tanto una è forte e dirompente, tanto l’altra è tenera e insicura: per quieto vivere si fa andare bene un matrimonio che invece non va bene affatto. Il marito la tradisce sfacciatamente con un’altra». L’attrice pugliese sta trascorrendo la quarantena a casa, a Roma, con il compagno, il loro bambino, Romeo, di quindici mesi, e il cagnolino meticcio Winston. «Come il mio personaggio, anche io ho attraversato alcuni momenti di cambiamento epocale. E non mi riferisco solo a quello attuale che tutti viviamo.
Nella vita privata ho dovuto ricominciare spesso: terminare una relazione è doloroso, ma può diventare l’occasione per trovare di meglio. È successo anche quando è nato mio figlio: avevo già 38 anni, non ci pensavo affatto, avevo sempre messo il lavoro al primo posto, poi un contratto saltato all’ultimo e improvvisamente tanto tempo libero hanno fatto sì che arrivasse Romeo. Sono sempre stata fatalista: se una cosa deve accadere, che accada. Dentro a un inciampo di percorso si può scovare un’opportunità. Se non avessi perso quel lavoro magari non ci sarebbe il mio bambino. E poi con un mestiere precario come il mio è fondamentale sapersi rimettere ogni volta in gioco». Pensa che le donne siano più capaci di sacrificarsi? «Sì, credo anche che siano dotate di più lungimiranza: capiscono che il sacrificio di oggi è necessario per la buona riuscita di domani».
Questa serie potrebbe servire d’ispirazione alle persone che dovranno rimettersi in piedi una volta passata l’epidemia. «Le donne sono ovviamente tutte diverse, ma ce ne sono tante, le più forti, che a un certo punto capiscono che non vale la pena continuare dentro a un immobilismo infelice, che è meglio provare a fare qualcosa di rivoluzionario. In questo momento penso soprattutto alle impiegate nel settore del turismo, che dovranno inventarsi nuove soluzioni per andare avanti nei prossimi mesi. Così come i giovani che non possono più accontentarsi dei lavori tradizionali, ma devono essere creativi, concepire nuovi mestieri, adattarsi a situazioni completamente inedite». Suo figlio è così piccolo che nemmeno si ricorderà di questo periodo di clausura causato dall’epidemia. «È vero, ma allo stesso tempo cresce senza stimoli, chiuso in casa. Non può nemmeno prendere in mano una foglia. Che vita è per un bambino? La prima cosa che farò quando si potrà uscire è una lunga passeggiata al parco di Villa Ada, che è vicino a casa nostra, con mio figlio e il mio cane. E poi sogno una pizza. Non una d’asporto: una da mangiare subito, al tavolino di un ristorante. Impareremo di nuovo ad apprezzare tutto quello che davamo per scontato».