Mi serve un!ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco… al 29, una via senza uscita, la trova subito, credo che abbiano ucciso una persona… non ne sono sicuro, forse è viva… Adesso sono andato dai carabinieri… c!è tanto sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra”. È l’incredibile telefonata al 118, con un tono di voce quasi distaccato, che Alberto Stasi fece il 13 agosto 2007. La persona riversa a terra senza vita, in una pozza di sangue, era la sua fidanzata, Chiara Poggi, di 26 anni.
Ci volle quasi un decennio, caratterizzato da una guerra di perizie e da processi controversi, per arrivare alla soluzione del caso: nel 2016 è stata la Cassazione a mettere una pietra sul delitto di Chiara e a sentenziare che lo studente di Economia dell’università Bocconi, diventato poi commercialista, è colpevole del delitto “oltre ogni ragionevole dubbio”. Stasi sta scontando la pena di 16 anni nel carcere milanese di Bollate, dove lavora come centralinista a mille euro al mese. Stasi, infatti, è impiegato in un call center di una nota compagnia telefonica per diverse ore al giorno ed è ritenuto un detenuto modello.
Nella sentenza di condanna in via definitiva i giudici scrissero che l’ex bocconiano uccise la fidanzata Chiara Poggi con “dolo d!impeto” e “senza alcuna programmazione preventiva”, con un!azione connotata da “un rapido susseguirsi di colpi di martello al capo della vittima, sferrati all!ingresso dell’abitazione, con rabbia ed emotività”. La giovane era sola in casa quel tragico 13 agosto 2007, perché i suoi genitori erano in vacanza. La sera precedente la ragazza aveva passato qualche ora proprio con Alberto, che la mattina seguente raccontò di averla trovata morta senza sapere cosa le fosse successo.
Gli inquirenti, analizzata la scena del crimine, non rilevarono segni di effrazione nella villetta e capirono che la vittima conosceva il suo assassino: Chiara, infatti, aveva aperto spontaneamente la porta in pigiama, a qualcuno di cui si fidava e che l!aveva aggredita violentemente fino a ucciderla. I sospetti si concentrarono immediatamente su Alberto Stasi, soprattutto per una circostanza alquanto insolita.
Il giovane, prima di trovare il corpo della fidanzata, percorse varie stanze della casa, fino ad arrivare alla porta della cantina, dove il corpo martoriato di Chiara era riverso sul fondo delle scale. Eppure, nonostante il sangue sul pavimento, Alberto aveva le scarpe completamente pulite. Inoltre il racconto che lo studente aveva fornito ai magistrati era risultato incongruente su diversi punti. Da lì le indagini presero un filone che, infine, ha portato Stasi alla condanna.