La sposa portava all’altare qualcosa d’antico e qualcosa di nuovo. Nel solco della tradizione sul capo della principessa Victoria, che un giorno siederà sul trono di Svezia – prima volta di una donna nella storia del Paese scandinavo – spiccava il diadema Kamé, dono di Napoleone alla moglie Giuseppina, che pure sua madre Silvia aveva indossato per il “sì” con Carlo XVI Gustavo 34 anni prima. La novità era invece rappresentata dal consorte che si era scelta, non un lontano cugino spilungone dotato di quattro cognomi impronunciabili, né un ricchissimo rampollo pescato in un college americano.
No, al suo fianco compariva un ragazzo di origini semplici, Daniel Westling, personal trainer. Il loro amore era scoppiato otto anni prima non a un ricevimento ma in palestra. Questo ragazzo senza una goccia di sangue blu per Victoria è stato però un principe azzurro sin dal primo scambio di sguardi.
Colui grazie al quale si è sbarazzata dello spettro che la perseguitava: l’anoressia.
Questo matrimonio salvifico e fiabesco al tempo stesso compie oggi 10 anni tondi tondi. Tanti ne sono passati dal fatidico “lo voglio” pronunciato, dopo 40 minuti scarsi di cerimonia, davanti a 1.100 invitati stipati nella Storkyran, la chiesa di San Nicola. Giorno da incorniciare soprattutto per il dinner a seguire: 570 palati deliziati dai piatti di Stefano Catenacci, lo chef italiano che da anni cura i menu offerti dai Bernadotte
nelle occasioni più esclusive.
S’è gustato ogni genere di prelibatezza, dall’aragosta al tartufo alla mousse di fragola con cuore di rabarbaro. Poi, balli scatenati. Un rito di passaggio memorabile per Daniel, che dopo le nozze fu costretto a cambiare per sempre vita: privato del cognome e del diritto di voto, destinato a una vita votata a un’unica persona, sua moglie Victoria. O meglio alla regina, quando il destino avrà fatto il suo corso. Posizione di supremazia dinastica che la principessa, a vedere quel che è successo in questa decade, non ha mai voluto esercitare, esigendo anzi che il marito le fosse sempre al fianco e non un passo indietro come ha fatto Filippo con Elisabetta, per capirci.
Uno dei tanti modi con cui Victoria ha ringraziato il consorte: se oggi può esibire un sorriso aperto e limpido, lo deve proprio a lui, il suo ex personal trainer. C’è stato un tempo in cui il volto dell’erede al trono era spento, privo di emozioni. Una sofferenza psicologica mai ammessa apertamente fino a quando, in occasione del suo quarantesimo compleanno, Victoria ha rilasciato un’ intervista senza riserve all’emittente svedese Tv4. E così, con delicatezza e gravità, ha ripercorso la stagione dei suoi ventanni, quella che dovrebbe coincidere con la spensieratezza ma che per lei è stata un lungo tunnel buio. «Ho attraversato un periodo molto difficile, durissimo», spiegò. Le prove fotografiche sono lì da vedere. Anno 1997: il 2 dicembre, al banchetto di Stato offerto dai genitori, l’erede al trono apparve come l’ombra di se stessa. Sotto le maniche di chiffon dell’abito blu le braccia erano scheletriche.
I sovrani, anche per proteggerla dal vortice mediatico sullo stato della sua salute, decisero a quel punto di mandarla a studiare negli Stati Uniti. Scelta condivisa da Victoria: «Avevo bisogno di staccare da tutto, prendere coscienza del mio ruolo, dei miei limiti, ristabilire i miei equilibri». Perché una ragazzina, di fronte al peso della corona, rischia di crollare.
Nel suo caso il destino non era già scritto: quando venne al mondo, la successione al trono di Stoccolma era ancora regolata dalla legge salica, che prevede la preferenza della linea maschile. Ma nel 1980, quando la principessa aveva tre anni, la norma venne emendata. E lei si trovò d’un tratto erede di suo padre. Una posizione che cominciò a riempirsi di significato quando Victoria raggiunse la maggiore età. Obblighi formali, ricevimenti, primi incarichi di rappresentanza della corona: Victoria iniziò un progressivo cedimento, vittima del suo perfezionismo. «Non volevo deludere la mia famiglia ma essere all’altezza, in tutte le occasioni».
In America i medici capirono il problema e le prescrissero attività sportiva, che impone anche un regime alimentare sano e bilanciato. Victoria, dunque, cominciò ad allenarsi. E nel 2002, ormai tornata in patria, si iscrisse a un rinomato centro sportivo del centro di Stoccolma. Qui si affidò a Daniel, comproprietario della palestra, per il quale la principessa non era soltanto una cliente d’eccezione, ma diventò a poco a poco uno scopo di vita, una missione: la prese per mano e la accompagnò alla riscoperta del benessere. Ma la ragion di Palazzo non segue le leggi del romanticismo. Carlo XVI Gustavo voleva qualcosa di più per sua figlia, lamentando l’estrazione borghese di Daniel. Scordava, evidentemente, che lui per primo si era innamorato di una ragazza bellissima, Silvia Sommerlath, figlia di un ricco uomo daffari tedesco, ma priva di blasone. Victoria però, non ha ceduto. E la nascita dei figli, Estelle nel 2012 e Oscar quattro anni più tardi, dimostra che, a volte, la favola esiste davvero.