Alzi la mano chi, al fischio d’inizio, non ha pensato al lupo cattivo davanti alla capanna di paglia del primo porcellino. La Juve di Cristiano Ronaldo, il cannibale del gol, davanti al Lecce che aveva già subìto 60 gol, di cui 15 nelle sole tre ultime uscite.
Beh, è andata così: Lecce spazzato via. Altri 4 subiti in un colpo solo, come col Milan. Però non è stata la favola attesa. Per un tempo la capanna di un buon Lecce è sembrata di cemento armato, anche se difesa da un uomo in meno (espulso Lucioni al 30’). Poi nella ripresa il Dybaldo ha messo a posto le cose: perla della Joya (9° gol in campionato) e rigore per CR7, arrivato a 23 gol in 24 gare. Il portoghese, dopo aver mandato in rete Dybala, ha fatto lo stesso con Higuain e De Ligt ha sigillato il 4-0.
Così Lazio e Inter ora scenderanno in campo per rimontare rispettivamente 7 e 11 punti. A una squadra che viene da otto scudetti. Passo indietro Eppure paradossalmente questa partita, al di là della classifica, non è stata sconfortante per la concorrenza, perché in un primo tempo deludente la Juve ha riproposto i difetti e gli impacci mostrati in Coppa Italia. Come contro Milan e Napoli ha sbattuto lenta e senza fantasia contro una difesa. Come contro i rossoneri non gli è bastata la superiorità numerica.
Ha avuto bisogno del vantaggio numerico, della stanchezza degli avversari e di uno svarione difensivo per passare. Poi i primi violini hanno infierito. Ma rispetto a Bologna, un passo indietro sul piano dell’intensità e della condizione atletica. Deludenti Pjanic, Rabiot e Bernardeschi che pareva ritrovato.
Non è la Juve ingiocabile dei campionati scorsi. E in un contesto imprevedibile tutto può succedere. Signora da balera Senza Lapadula e Babacar, Liverani affida l’attacco al peso di Shakhov e allo scatto di Falco. Alle loro spalle la Maginot salentina: trincea a 5 con Rispoli e Vera, al debutto da titolare, sempre bassi, e la torre Tachtsidis perno centrale della mediana. Il primo pericolo lo crea il Lecce con un tiro di Rispoli sfuggito a Matuidi che dimostra subito il suo impaccio di terzino riadattato. Ma la partita si adegua in fretta al copione previsto: Juve a caccia di spazi per imbucare l’idea buona in un muro spesso. I
l vocione di Buffon dalla panchina scavalca la schiena di Sarri e tuona in campo: «Giriamo palla o è finita! ». Ha ragione Gigi: a questa velocità di gambe, di palla e di pensiero è impossibile infilare uno spillo nel muro. Spostare la palla velocemente significa spostare il Lecce e creare spazi per gli inserimenti. La Juve, che ha ritmo da balera, non ci riesce mai. È qui che Sarri fatica ancora a essere Sarri: tiene palla, sì, ma la sue squadre aprivano varchi a forza di incroci, di scatti, di movimento. Alla Juve non succede quasi mai: troppi passaggi nei piedi e pochi nello spazio. La difesa di Liverani guida con il gomito fuori dal finestrino, finché non la combina grossa: Lucioni pasticcia in disimpegno, perde palla e, per rimediare, abbatte Bentancur che stava involandosi a rete, condannando i suoi a un’ora di inferiorità.
CR7 spreca Non è un caso che il furto lo abbia messo a segno Bentancur, uno dei pochi reattivi e l’unico che cerca la porta da lontano, idea preziosa in uno scenario così bloccato. Poche idee da Pjanic, pochissimo da Dybala che gira a vuoto, quasi sempre in fuorigioco Bernardeschi. Il Lecce, che si ricompatta con il 4-4-1 e ha il palleggio nel sangue, si prende anche il lusso di spaventare Szczesny con un tiraccio del buon Tachtsidis (35’). La Juve avvicina il gol solo nel finale di tempo. CR7, lasciato incomprensibilmente solo, alza un corner di testa, alrettanto incomprensibilmente, e Bernardeschi fa eco a Gagliardini impennando la sfera a un passo dal gol. La Juve va a prendersi un tè ricostituente. Ne ha bisogno.