Marta Marzotto chi è: Età, marito, figli, biografia e vita privata

Marta Marzotto oggi avrebbe 90 anni, ma sono certo che se ci fosse ancora (è scomparsa per un tumore nel 2016) sarebbe sempre “Marta da legare”, una sua battuta che diede il nome anche a una sua collezione di moda. Quando ho iniziato a lavorare, erano gli anni Ottanta, lei era immancabile a tutte le sfilate importanti, ovviamente in prima fila.

La prima volta che la vidi mi colpirono i suoi orecchini esagerati, enormi, grandi come bracciali e il suo abito sfrontato, a fiori, di Rocco Barocco, in un’epoca dove il minimalismo faceva da padrone. Ma lei era guardatissima («E il successo dell’eccesso», mi diceva) non solo perché era la moglie di Umberto Marzotto, e non nascondeva l’amante, Renato Guttuso, sempre accanto a lei (ma che non lasciò mai la moglie Mimise), feste, ricevimenti, se lei c’era, il party aveva un senso, se mancava, era inutile.

Per tutto questo esagerare ero molto prevenuto. Ero un giornalista alle prime armi, che si dava un tono da intellettuale (più da intellettualoide che altro) e la guardavo con sospetto: ricca, viziata, e mondana, e la mondanità, ieri come oggi, era vista con disapprovazione anche da chi anelava a praticarla come uno sport.

Poi, grazie a Cristina Maza, la grande giornalista, amica di entrambi, la conobbi meglio. Ancora abitava a Roma, prima in piazza di Spagna poi in una villa non lontana dove mi raccontavano che prendesse il sole sul tetto nuda (una sua mania abbronzarsi senza segni del costume) insieme a Lucio Magri, innamorato di lei insieme a Guttuso (che scriveva dietro ai ritratti che faceva a Marta “E liberaci dal Magri, amen”).

Diventammo amici e scoprii una donna diversa, allegra, creativa (sapeva anche disegnare) generosa, che usava la sua generosità come un’arma di seduzione. «In questo non la batteva nessuno», mi dice Jean Paul Troili, il regista di eventi, suo amicissimo, «Una sera era al ristorante con Marina Ripa di Meana, sua amica/rivale, Marta indossava un prezioso orologio gioiello a forma di rana, li disegnava lei stessa, Marina le fece un complimento, Marta se lo tolse e glielo passò al volo: «Te lo regalo»». Quel «Te lo regalo» lo avrà ripetuto migliaia di volte a tutti, anche a chi non se lo meritava.

E regalava col sorriso, con allegria, ma anche con un affetto sincero. Sapeva anche piangere, quasi sempre di nascosto, quando eravamo soli. Ma teneva botta, come quando le condizioni di sua figlia Annalisa, malata di fibrosi cistica, peggiorarono e se ne andò, certo le rimanevano Paola, Vittorio, Diamante e Matteo, ma il dolore fu infinito.

Ero in Sardegna, a Porto Rotondo, dove aveva la villa più bella, decorata perfino nei bagni da Renato Guttuso, cercarono di rapirla, ma era fuori, i rapitori non riuscirono a trovarla (legarono tutta la famiglia presente, compresa sua mamma). In una culla dormiva Beatrice Borromeo appena nata (oggi è la bellissima sposa di Pierre Casiraghi, il figlio di Carolina), Enrico Coveri, che la sera era con me a cena, la prese e la portò con sé di corsa in Tunisia.

Me lo disse la mattina presto Monica Vitti, e Matteo, che aveva solo vent’anni, fu incredibile come riuscì a governare i giornalisti (io ero ospite e amico, non mi temeva), la polizia, ad aiutare nelle indagini. E capii che Marta aveva saputo anche educare, e molto bene, i suoi figli, senza togliere nulla al conte Umberto Marzotto, ovviamente.

Già perché con il matrimonio Marta era diventata anche contessa, e si faceva chiamare contessa, ma ricordava anche a tutti che suo padre era un casellante delle ferrovie, che per qualche anno era stata in un brefotrofio tanto i suoi erano poveri, che correva a piedi nudi sui prati e che il suo primo lavoro era quello di mondina, come la mamma. «All’inizio mi vergognavo, poi Renato Guttuso mi ha insegnato il valore delle mie origini», mi diceva, «vivere libera nella povertà, ma anche nella natura, tra i colori dei fiori, i sapori della terra, sentita a piedi nudi». E sempre Guttuso le spiegò che non doveva negare il suo piacere per la mondanità: «Sei mondana perché appartieni al mondo», le spiegava pieno d’amore e aveva ragione.

Le sue origini le ostentava anche nel la sua casa (la casa più creativa di tutte, un primato che è tale anche oggi) dove sulla tavola faceva scodellare un’enorme polenta su un tagliere gigantesco con le spuntature di maiale e se non era a buffet non metteva nemmeno le posate, come facevano i contadini un tempo, mangiando dal tagliere. La imitarono tutti, faceva collezione di bicchieri veneziani che comprava per due lire ai mercatini, e li usava, spaiati com’erano, sulle sue tavole e nei suoi buffet.

Nel tempo divennero così ricercati che da roba vecchia divennero preziosissimi e allora, nella sua casa (dove oggi vive Matteo Marzotto) fece una parete a mensole, una sorta di libreria a muro per esporli, accanto ai quadri di Guttuso. Una mattina mi invitò a La Rinascente di Milano per un evento, aveva pianto tutta la notte, era morto Guttuso e lei non aveva nemmeno potuto andarlo a salutare, glielo avevano impedito. Tenne botta anche quella mattina, sistemò perfino un tappeto che aveva portato da casa per creare una sorta di salottino anche lì.

Adorava me e mia moglie Betta Guerreri («Fa abiti un po’ troppo di stile per me, ma le donne impazziscono per vestirsi di classe») e le regalò due bracciali non preziosi, ma bellissimi, che ha ancora oggi.

Erano anche epici i suoi litigi, con urla e lamentele di ore, uno, l’unico, lo fece anche con me quando rivelai che Beatrice Borromeo avrebbe sposato Pierre Casiraghi, e lo feci prima che la notizia fosse resa ufficiale dal Principato di Monaco. Venne fuori un pieno mai visto, ci furono lunghe telefonate, tra noi, con la sua assistente, lettere a Beatrice. Non la vidi mai più, da lì a poco si sarebbe ammalata e sparì. Ancora oggi non aver fatto pace è un mio dispiacere. L’ultimo bacio gliel’ho dato il giorno del funerale. Con lei se ne andava un mondo fatto di creatività, di follia e voglia di vivere. Matteo, uscendo dalla chiesa, mi abbracciò con una dolcezza infinita. Voglio pensare che quell’abbraccio glielo abbia ispirato sua mamma. Ciao Marta, e auguri per i tuoi novant’anni, peccato che tu non ci sia in questi mesi difficili, avresti saputo portare una ventata di serenità, anzi di giovinezza e non è una battuta. Ti voglio bene, tuo Roberto