Nino D’Angelo parla di Diego armando Maradona, ecco i suoi ricordi

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Sono tanti i mondi racchiusi da Il Poeta che non sa parlare (Baldini & Castoldi) il libro autobiografico di Gaetano D’Angelo, ai più noto come Nino. Tra le pagine ci sono il valore del ricordo e l’importanza del riscatto, poi l’uomo che si fa da solo e il raggiungimento – grazie alla musica – delle vette partendo da un basso che più basso non si può. «Tra il bambino in apparenza sprovvisto di tutto e l’adulto di successo, tra Gaetano e Nino, c’è un’avventura lunga una vita», commenta lo scrittore premio Strega Nicola Lagioia nella prefazione. Un’avventura dalla quale il cantante non si sottrae, ma anzi aggiunge, e infatti Il Poeta che non sa parlare è anche un progetto musicale. Si tratta di un’idea ampia che prevede un libro, il disco e il tour.

«In futuro vorrei dare vita a un grande spettacolo teatrale alla Gaber», racconta Nino D’Angelo a Gente, «dove alternare parti parlate, aneddoti e canzoni». Non manca nel cd, così come nel libro, il ricordo di un personaggio che D’Angelo ha tanto amato: Diego Armando Maradona. «La prima immagine che mi viene in mente parlando di Diego», continua il cantautore napoletano, «è la sua allegria, il suo modo di essere.

Penso al primo Diego, quello più giovane. Posso solo dire che è stata una delle persone più umili che io abbia mai conosciuto e forse questa sua umiltà è stata anche il suo dramma, perché lui voleva essere normale, ma non poteva esserlo». Diego e Nino sono due facce di una stessa città. Due volti immortalati sui muri di Napoli da uno dei più noti artisti di strada in circolazione: Jorit. «La gente del mio quartiere, San Pietro a Patierno, mi ha dimostrato tutto il suo amore dedicandomi il murale firmato da un grande artista. Sono fiero di restare il cantante di questa Napoli.

Sono stanco però di essere considerato l’artista solo di una certa parte della città. Sono stato sdoganato mille volte… ma aspetto ancora di passare la dogana». Ma che significa essere sdoganato mille volte? «Mi sono sempre sentito fuori dai giochi. Negli anni Ottanta vendevo milioni di dischi, ma ero sempre considerato un outsider. A Napoli sono sempre stato il cantante della gente che non conta e di questa cosa vado fiero. Sono orgoglioso di essere la voce di chi la voce non ce l’ha.

Mi sentirei un traditore se non dicessi queste cose e ho il dovere di dire al mondo che esiste gente come me, ma che non si è ritrovata il mio talento e che allora sopravvive». Il risultato finale è un libro che ci dona un ritratto vivo di luoghi e persone – dall’estrema periferia partenopea fino alle luci della ribalta, dal primo fan club fondato inavvertitamente da sua madre alle musicassette falsificate da suo padre – ma è soprattutto l’affresco di un mondo che ha molto da insegnare e che forse non esiste più: un universo fatto di povertà e dolore, di amicizie sincere e di famiglie numerose che si aiutano, un mondo in cui nessuno si salva da solo e in cui si può ridere di tutto, persino della miseria.

Prima che il grande Nino torni ai suoi impegni, c’è tempo per un’ultima curiosità sul titolo del libro, così affascinante e in grado da solo di raccontare un’intera storia. «Ai tempi della scuola una professoressa delle medie mi disse: “Tu sei un poeta che non sa parlare, arrivi al cuore anche quando ti esprimi male”». Ma che significa arrivare al cuore della gente? «Non sono uno scrittore. Io scrivo come parlo. Io con questo libro volevo arrivare col mio carattere e con l’autoironia. Non pensavo che potesse interessare un libro sulla mia vita che in certi momenti può sembrare un film, ma è soltanto la mia storia. La storia di uno che viene dal nulla e poi ce la fa».