La vera storia sul vaccino di Novak Djokovic

Undici giorni. È il tempo sufficiente per passare da super campione da indicare ai bambini come esempio da seguire, a “pericolo per l’ordine pubblico”. Una caduta rovinosa che il numero uno del tennis mondiale, Novak Djokovic (e tutto il suo rumoroso entourage), difficilmente potrà far dimenticare.

Perché dopo quegli undici giorni australiani, tutto è cambiato. A farlo cadere dal piedistallo sia la sua posizione contraria ai vaccini sia, e soprattutto, la montagna di bugie rifilate al mondo per sostenerle. Una lezione dura ma chiara: puoi essere anche il più forte del mondo, quello che smuove miliardi di dollari tra sponsor e diritti Tv, ma durante una pandemia, se menti (sapendo di mentire) e ti senti al di sopra delle regole, sei destinato alla polvere.

Quanto accaduto ormai è noto: il 5 gennaio Djokovic atterra a Melbourne per partecipare agli Australian Open, primo torneo del Grande Slam (mira a vincerne 21, per superare i rivali di sempre, Federer e Nadal), ma viene bloccato all’aeroporto Tullamarine, perché gli vengono contestate irregolarità legate all’esenzione per il vaccino anti Covid. Che non ha fatto. Da parte sua, Djokovic vanta una sorta di wild card (permesso speciale) degli organizzatori del torneo, i quali avevano assicurato la possibilità di partecipazione (impossibile rinunciare alla testa di serie numero 1!).

Dopo otto ore di fermo, il visto viene cancellato e il tennista spedito al Park Hotel, che di hotel ha solo il nome, visto che è il luogo nel quale sono rinchiusi rifugiati politici e richiedenti asilo in Australia. «Un posto con cibo pessimo e pieno di pulci », griderà una sdegnata Dijana Djokovic, la mamma, dove però sono rinchiusi rifugiati in condizioni limite anche da nove anni (l’Australia non è mai stata tenera in tema di immigrazione).

Intanto Scott Morrison, il primo ministro australiano, twitta: «Le regole sono regole, soprattutto quando si tratta dei nostri confini ». Tuttavia l’11 gennaio un giudice federale dà ragione al tennista e ne ordina il rilascio. Il danno è fatto: i social svelano tutte le bugie di Djokovic e, soprattutto, di suo padre, Srdjan, l’uomo che con le sue frasi deliranti («Novak è lo Spartaco del nuovo mondo che non tollererà ingiustizia, colonialismo e ipocrisia»; «Da oggi Novak diventerà un simbolo e un leader del mondo libero») ha voluto trasformare la contesa legale in scontro di politica internazionale, con tanto di ambasciatori convocati e telefonate tra premier.

Si scopre, infatti, che il tennista il 14 dicembre era risultato positivo dopo aver presenziato alla partita di basket Stella Rossa-Barcellona e di averlo tenuto segreto; di aver partecipato a un meeting di giovani tennisti il 17, facendo selfie a tutto spiano, senza mascherina; di aver concesso un’intervista il 18 (con servizio fotografico) al giornale francese L’Équipe; che il 31 dicembre era a Marbella, Spagna, Paese nel quale si può accedere dalla Serbia solo se vaccinati.

Che aveva pure violato le norme serbe sulla quarantena. Uno tsunami di “balle” che travolge lo “Spartaco” del secondo millennio. Tanto che il 14 gennaio, il governo di Canberra annulla per la seconda volta il visto. E stavolta la causa è grave: «motivi di salute e buon ordine, sulla base del fatto che ciò era nell’interesse pubblico». Per le autorità, la stessa presenza di Djokovic in territorio australiano avrebbe rappresentato un problema di ordine pubblico, essendo egli diventato un “talismano” no vax.

Una tesi accolta stavolta dal tribunale il 16 gennaio. Così, lo stesso giorno il tennista è risalito sul volo Emirates EK409 diretto a Dubai e da lì ha fatto rotta verso Belgrado. Al suo posto viene richiamato Salvatore Caruso, tennista ventinovenne di Avola, numero 146 del ranking, «il lucky loser più famoso del mondo», per sua stessa ammissione. Ma proprio al torneo in corso Salvatore, viene battuto subito 6-4, 6-2, 6-1 da Miomir Kecmanovic (serbo, ironia della sorte). Intanto papà Srdjan salutava con il tradizionale aplomb: «Il tentativo di assassinare il miglior sportivo del mondo è finito, 50 proiettili nel petto di Novak. Ci vediamo a Parigi».

Ma mentre lanciava il suo anatema, la ministra francese dello Sport Roxana Maracineanu twittava: «La tessera vaccinale è stata adottata (la Francia aveva votato il Green Pass il giorno prima, ndr). Non appena la legge sarà promulgata, diventerà obbligatoria per l’ingresso negli edifici pubblici già soggetti al pass sanitario. Sarà valida per tutti, spettatori, atleti, professionisti e non, francesi e stranieri. Grazie al movimento sportivo per il lavoro di convincimento verso gli ultimi, pochi non vaccinati. Lavoreremo insieme per preservare le competizioni ed essere gli ambasciatori di tali misure a livello internazionale». Quindi niente Roland Garros. A rischio pure Wimbledon e Us Open sempre per le norme Covid. Lo Spartaco della racchetta ha le spalle al muro. E Lacoste, il suo sponsor, ha già dichiarato di volerlo incontrare per discutere quanto accaduto.